Ciclisti reazionari. Perché rulli ed ebike disturbano tanto chi pedala?
La notizia che Luca Vergallito sia riuscito a ottenere un contratto professionistico con la Alpecin-Deceuninck anche grazie alle sue performance su Zwift ha generato sorpresa e commenti acidi. Il rapporto dei "puristi" con certa modernità
A fare i tradizionalisti si corre il rischio di trasformarsi in reazionari. Anche in uno sport, il ciclismo, dove la componente storica ha un peso e il presente, in un modo o nell’altro, finisce spesso per pedalare accanto al passato. È mai cambiata troppo la bicicletta da quando è stata inventata a oggi. Il sistema meccanico che determina il movimento è sempre lo stesso: una corona dentata mossa dalle pedivelle che ne muove un’altra attaccata alla ruota posteriore. Tutto il resto è arrivato dopo: nulla è mutato, ma tutto è diverso e continua a evolversi.
Viene da chiedersi perché tra tanti appassionati che pedalano su telai leggerissimi, magari dotati di cambio elettronico, che monitorano le proprie uscite su ciclocomputer satellitari, ci siano tanti problemi ad accettare le mutazioni del ciclismo. Soprattutto perché generi tanta sorpresa, e acidi commenti, la notizia che il venticinquenne Luca Vergallito sia riuscito a ottenere un contratto professionistico con la Alpecin-Deceuninck, la squadra di Mathieu van der Poel, grazie anche a un simulatore di ciclismo.
Zwift è un’app che permette di correre e competere contro altri utenti pedalando su di una bici collegata a dei rulli smart, che cioè simulano la pendenza di un percorso più o meno reale.
Su Zwift Luca Vergallito andava forte. E pure sulle strade reali. Gli era andata male la carriera dilettantistica. S’era perso, aveva finito per mollare. Il ciclismo, non la bici. Anche quando era tornato a studiare quella non l’aveva mollata. Pedalava, andava forte, poi sui rulli è riuscito a trovare l’occasione che non era riuscito a sfruttare.
Una storia di redenzione, di seconda possibilità, di quelle che di solito esaltano i professionisti del sentimento. Ma ci sono i rulli di mezzo, la tecnologia e i simulatori, che nello sport sono considerati al pari dei videogiochi, ossia niente: la piaga sociale dello sport italiano. L’hanno pure accusato di rubare un posto a un professionista. E questo nonostante l’Alpecin-Deceuninck metta in palio un extra posto – quindi uno stipendio in più, o nella prima o nella seconda squadra – ai migliori della Zwift Academy. Luca Vergallito ha fatto una prova di cinque giorni in Spagna con altri quattro corridori, si è confrontato con loro e con i professionisti, alla fine è stato giudicato degno ed è stato assunto. Nessuna ruberia.
Un astio che sembra figlio più dell’invidia che di una critica sensata alla modalità di selezione. Anche perché ripensando ai primi due anni di professionismo dell’australiano Jay Vine, il primo a essere selezionato tramite Zwift, il sistema sembra funzionare: due vittorie in salita alla Vuelta a España e un presente-futuro da gregario, con qualche libertà, per Tadej Pogacar.
Lo stesso astio che emerge quando si parla di ebike. Perché, sostengono in molti, pedalare su di una bici a pedalata assistita non è pedalare: questo deve essere sempre e in ogni caso sofferenza. Hanno ragione, ma anche no. Perché le ebike sono un mezzo che non toglie niente a chi considera la bici come meravigliosa sofferenza, allarga solo il bacino dei pedalatori: dà la possibilità a coloro i quali piace la bici, ma meno la sofferenza, di girare in bicicletta lo stesso. E una bici in più è una macchina in meno, quindi un po’ di sicurezza in più. Il problema però non è l’ebike in sé, è l’ebike in noi e quel rosicare quando uno con la pedalata assistita ti supera in salita. Capita, basta non farci troppo caso.