Il foglio sportivo
Il Natale della Nba, nato in radio e diventato un rito mondiale
Dieci squadre in campo: alle origini del Christmas Day, uno dei diversivi americani per rendere meno insopportabili le feste
Non fidatevi delle apparenze, della retorica e degli spot televisivi, che del resto di retorica vivono: agli americani del significato tradizionale e familiare del Natale e del Giorno del Ringraziamento non frega nulla. Se non fosse così, non avrebbero creato, già quasi un secolo fa, diversivi per rendere meno insopportabile la presenza di parenti e infiltrati vari. Nel football, con le partite del giovedì, appunto, del Ringraziamento, dal 1920 e in maniera continuativa dal 1934. Nel basket professionistico, con l’Nba Christmas Day, nato nel 1947 e dunque giunto ora al 75esimo anniversario, anche se in realtà nel 1998 non vi furono partite in quanto il campionato doveva ancora iniziare a causa della disputa tra proprietari e giocatori. Mentre nel 2011, ancora per via di un lockout, le gare di Natale rappresentarono addirittura la prima giornata della stagione. E attenzione, non si tratta, come accade spesso in America, di un’invenzione a uso e consumo dei media, come invece accadde per la NFL dal 1934, e il medium era la radio: nel caso del basket, solo dal 1967 cominciò la diffusione delle immagini su scala nazionale, grazie ad un accordo tra ABC ed NBA per la sfida californiana tra Los Angeles Lakers e San Diego Rockets, la squadra che poi si trasferì a Houston dove - per via del centro spaziale - il nomignolo ‘Razzi’ sembrò più adatto rispetto alla località di origine, dove pure aveva voluto simboleggiare l’ascesa cittadina e pure l’azienda locale che progettava razzi, non inizialmente per lo spazio ma per trasportare testate nucleari.
Prima della tv, dunque, giocare a Natale era unicamente un diversivo locale per i vari tifosi, principalmente newyorkesi, dato che i Knicks sono la squadra ad aver giocato più volte a Natale, 55 con la sfida di quest’anno contro Philadelphia, con il gioiello dei 60 punti, record natalizio, segnati nel 1984 da Bernard King. In generale pur con lo smantellamento di alcuni caposaldi, come quello che in quel giorno voleva di fronte squadre geograficamente vicine, per permettere a giocatori e staff perlomeno di partire tardi da casa o rientrare presto, la tradizione è rimasta, ma il numero di partite si è allargato progressivamente: le attuali cinque, dal 2008-09, con la squadra campione e finalista sconfitta ora sempre chiamate a far presenza (Golden State ospiterà Memphis, stavolta), non rappresentano però un record, perché nel 1977 furono addirittura sette, e all’epoca la NBA aveva solo 22 squadre rispetto alle 30 di adesso, per cui la percentuale di quelle occupate nel giorno di Natale fu del 63%, quasi il doppio dell’attuale 33%. La festa per occhi e cuori è sempre stata favorita dalle circostanze, ed anche per questo le televisioni vi ci sono progressivamente buttate, fino all’attuale carnevale di partite scaglionate in modo da essere viste tutte in Italia le trasmette Sky): 25 dicembre del resto vuol dire che la stagione di baseball e calcio è ferma, che l’hockey NHL per contratto non gioca (così come alla vigilia e a Santo Stefano) e che persino la dominatrice di spazi, la NFL, normalmente è ferma. Non quest’anno, però, considerando che Natale cade di domenica, e quindi la NBA avrà la concorrenza della terzultima giornata del campionato nettamente più seguito a livello mediatico.
Ecco perché per certi versi il Natale reale della National Basketball Association cade nel giorno del Super Bowl, spostato ormai da anni da gennaio ai primi di febbraio, quest’anno il 12, con calcio d’inizio alle 18.30 ora di New York: sotto la gestione di David Stern, quindi dal 1984, copiando quanto aveva fatto l’ex rivale ABA già da metà anni Settanta, la NBA decise di agire su due fronti, ovvero programmare poche partite, nessuna delle quali con inizio successivo alle 16, e di creare sfide importanti, a partire dall’ora di pranzo, in modo da approfittare della presenza in casa di milioni di americani e sperare nella loro attenzione. Quasi sempre, negli anni Ottanta, tra le squadre coinvolte c’erano i Boston Celtics o Los Angeles Lakers o Detroit Pistons o Chicago Bulls, se non tutte e quattro, con diretta nazionale e staff di commentatori di primo livello, sperando magari che al Super Bowl andasse una rappresentante di una di quelle città per avere un pubblico già infervorato dalle prime ore del mattino. Formula che dal 2009 si chiama Sunday Showcase e rappresenta davvero il punto di svolta mediatico della stagione: da quella domenica infatti il palinsesto televisivo perde la NFL e permette di programmare con maggiore libertà. E allora sì: Natale è una festa per gli occhi degli appassionati NBA, specialmente da quando è stata eliminata la contemporaneità, ma la Liberazione è a metà febbraio, quando il football si toglie di mezzo e, pochi giorni dopo, c’è pure l’All-Star Game.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA