La rivincita di Zion Williamson
Se oggi i New Orleans Pelicans orbitano tra le prime posizioni a ovest, nutrendo legittime ambizioni nei playoff, buona parte dei meriti è da attribuire proprio alla prima scelta al Draft di tre anni fa rallentato da troppi problemi fisici
Da tempo non sbarcava in Nba un ragazzo tanto precoce da affermarsi immediatamente come uno dei migliori realizzatori in circolazione, scollinando quota 2.500 punti nelle prime 100 partite da professionista. L’ultimo a riuscirci era stato un certo Michael Jordan. Ora, a fargli compagnia c’è la giovane stella dei New Orleans Pelicans: Zion Williamson.
Questa, in estrema sintesi, è la portata del suo inizio di carriera, dopo essersi presentato all’Nba tre anni fa come prima scelta al Draft e con aspettative da Chosen One 2.0. E se oggi i New Orleans Pelicans orbitano tra le prime posizioni a ovest, nutrendo legittime ambizioni nei playoff, buona parte dei meriti è da attribuire proprio a Zion. Dopo qualche gara per smaltire la ruggine, infatti, Williamson ha mostrato nell’ultimo mese la miglior versione di sé stesso. Confermandosi già ora, a 22 anni, meritevole di un posto da titolare nell’All-Star Game, con la possibilità di candidarsi al titolo di Mvpnei prossimi mesi. Eppure, affacciarsi al 2023 con prospettive simili non era affatto scontato, dopo 17 interminabili mesi di inattività - e gogna mediatica - alle prese con una frattura al piede che sembrava non passare mai.
La recidività dei problemi fisici ha sempre velato l’immenso potenziale di Zion con un velo di inquietudine. Del resto, con un corpo del genere (2 metri e 130 chili circa), un atletismo esplosivo e una comprovata propensione agli infortuni, la preoccupazione è lecita. Almeno fino al momento in cui non si trasformi, come accaduto, in isteria.
Il primo stop risale al 2019, quando la stella di Duke University frantuma una scarpa e riporta una lesione al ginocchio. Un altro paio di infortuni a cavallo del Draft, poi, lo proiettano al debutto in Nba con un certo scetticismo sulla sua integrità fisica, che viene esacerbato dalla lacerazione al menisco subita a pochi giorni dall’esordio. Quando può finalmente presentarsi sul grande palcoscenico, tre mesi più tardi, Zion mostra il suo valore: gli bastano 24 partite per essere tra i cinque migliori rookie dell’anno, e nel 2021 è già un All-Star. All’alba della terza stagione, però, ecco un nuovo guaio fisico: frattura da stress al piede destro, altro intervento chirurgico in arrivo. La franchigia inizialmente prevede un paio di settimane ai box, ma un rinvio dopo l’altro si arriva al giro di boa della Regular Season, e di Zion ancora nessuna traccia; a gennaio, alla fine, New Orleans rende noto che si allontanerà dalla squadra per dedicarsi al percorso di riabilitazione. Stagione finita, anzi mai iniziata.
La scarsa chiarezza sulla situazione trascina Williamson al centro di critiche e insinuazioni di ogni tipo. Vengono messi in discussione il suo attaccamento ai Pelicans e la sua professionalità, ma soprattutto la sua forma fisica. Forzato a rimanere completamente fermo per diversi mesi, infatti, il prodotto di Duke appare un paio di volte in pubblico con qualche chilo di troppo, attirando una spropositata attenzione mediatica. Speculazioni e illazioni sul suo conto sono all’ordine del giorno, tanto da parte dei tifosi quanto degli addetti ai lavori: da stella in rampa di lancio, Zion si trasforma in bersaglio, senza possibilità di replica. “Ogni volta che parlavano di me, parlavano del mio peso, e non credo che ci si renda conto dell’impatto che può avere su una persona”, racconterà, confessando di essere stato sull’orlo di un tracollo emotivo. “L’infortunio mi negava la possibilità di fare qualsiasi attività, ed è stato pesante per me e la mia famiglia sentire tutto ciò che la gente diceva, mentre io avevo paura di non poter più giocare a basket”.
Lo scorso agosto, finalmente, la fine del tunnel: l’infortunio al piede è superato e Zion può tornare ad allenarsi. Offrendogli la desiderata estensione salariale (5 anni, 193 milioni di dollari), i Pelicans danno prova di voler costruire il proprio futuro attorno a lui, e Williamson ricambia presentandosi al training camp in forma smagliante, con 15 chili in meno e l’agilità di un tempo. È il risultato di un’estate di incessante lavoro sul proprio corpo, con sessioni di allenamento dall’alba al tramonto e con uno chef personale a prendersi cura dell’alimentazione. Il primo giorno con la squadra, dopo essersi pesato, scherza con i compagni: “vediamo se parleranno anche di questo…”.
I sassolini dalle scarpe, però, inizia a toglierseli davvero con il passare delle settimane. Da protagonista, Zion trascina New Orleans alla vetta della Western Conference. La condizione fisica va in crescendo e sul campo conferma quanto aveva messo in mostra nei primi due anni, aggiungendo dei tangibili miglioramenti in entrambe le metà campo.
Lo spettro degli infortuni, comunque, non è passato. La paura che altri problemi fisici privino l’Nba di un talento del genere, come accaduto ad altri what if prima di lui, persiste ed è inevitabile. Al contrario, tutto ciò che è stato rovesciato (gratuitamente) sul ragazzo durante quei 17 mesi - che avrebbero dovuto essere un purgatorio e sono stati trasformati nell’inferno - si poteva e doveva evitare. In fondo, Zion Williamson ha la sola colpa di possedere, come dice LeBron James, “una combinazione mai vista di stazza, velocità e atletismo”.