la partita nella partita
Chi si rilassa è perduto. Milan-Roma c'aiuta a capire cosa è il calcio di oggi
La sfida di San Siro, finita 2-2 con due gol giallorossi negli ultimi minuti, asseconda una tendenza sempre più diffusa e che nel giro di 48 ore è stata fatale anche a Inter e Lazio. Le squadre che abbassano l'attenzione troppo presto, vengono punite
Che sta succedendo al calcio italiano? In questo weekend quattro partite su otto si sono decise dopo il 90', una quinta (Juventus-Udinese) risolta all'86'. La diciassettesima giornata di Serie A, con i suoi tanti finali a sorpresa, asseconda una tendenza ormai galoppante che nel giro di 48 ore è stata fatale all'Inter, al Milan e alla Lazio: chi si rilassa è perduto. Chi non capisce che dentro una partita di calcio che sta finendo, sia pure apparentemente priva di argomenti e porte socchiuse, ce n'è sempre un'altra che sta per iniziare, non capisce fino in fondo il calcio di oggi.
La realtà di oggi è che in ogni partita ce ne sono almeno due. La prima dura suppergiù ottanta minuti ed è espressione più o meno fedele dei valori in campo, di quanto è stato preparato in settimana, della condizione fisica e mentale delle due squadre. La seconda parte più inafferrabile e sotterranea scava silenziosa nel sottosuolo della partita e si nutre di ciò che non si deve mai dare per scontato: il risultato parziale, ovviamente, ma anche le sostituzioni, le perdite di tempo, gli sbalzi d'umore, gli episodi di poca importanza che però messi insieme scrivono pagine di sceneggiatura. Per esempio: ieri Bennacer, il migliore in campo del Milan, è stato tolto dal campo un po' troppo precipitosamente da Pioli un minuto dopo aver rischiato di prendere il secondo giallo per un fallo a gioco fermo su Pellegrini. Sono righe che non farà piacere leggere ai maestri del controllo e della tattica, abituati a vincere o pareggiare le partite sulla scacchiera o nel sonno prima ancora di giocarle; ma esistono frammenti di calcio sempre più corposi e decisivi che appartengono all'intuito, all'improvvisazione, al talento, al genio, a volte all'irrazionale, e sono il fiore all'occhiello del calcio moderno che con i cinque-sei cambi e i recuperi sempre più lunghi sta esaltando l'importanza di queste specie di aerei Stealth, invisibili ai radar di bordo campo, che però irrompono improvvisamente nel match.
Prima della sosta, in un Milan-Fiorentina altrettanto drammatico, i rossoneri avevano recuperato due punti dalla spazzatura (i due punti persi ieri) con un autogol di Milenkovic che era il risultato di dieci minuti finali andati proprio così: recitando a soggetto, cibandosi dell'insicurezza difensiva avversaria, alzando la voce e provocando lo spavento fatale. Poi chi ha seguito il Mondiale lo sa: non solo la leggendaria finale, esplosa in mano agli argentini dopo 80 minuti di dominio assoluto stile Milan di ieri, ma anche il quarto di finale contro l'Olanda, con gli oranje che negli ultimi venti minuti hanno cinicamente mandato in campo le giraffe e l'hanno pareggiata con tutto il pragmatismo e la geniale follia di cui erano capaci.
Nello svolgimento Milan-Roma non è stata troppo diversa da Lazio-Empoli, con i toscani che hanno prima punito in contropiede una leggerezza difensiva di una Lazio già appagata del 2-0 e poi hanno aggredito i demoni avversari fino all'ultimo corner al 94'. Non è stata troppo diversa nemmeno da Monza-Inter, con la squadra più forte a traccheggiare, vittima di qualche cambio sbagliato di Inzaghi e qualche colpo di sfortuna come il gol inspiegabilmente annullato ad Acerbi: tutto carburante psicologico per la squadra più debole, che nel convulso finale ha perfino avuto la palla per vincere la partita. L'eroe positivo di questi finali può essere a volte solitario, come Mbappé o quel tale Weghorst che ha pareggiato l'Argentina da solo; ma non c'è dubbio che l'eroe negativo sia la squadra intera, un fallimento collettivo di concentrazione e attitudine che parte dall'allenatore e si propaga in modo equanime addosso agli undici giocatori. Viene in mente il celebre finale (scusate lo spoiler) di “Assassinio sull'Orient Express”, il giallo di Agatha Christie in cui ad ammazzare l'americano nello scompartimento del vagone letto, con una coltellata a testa, ci si mettono proprio in dodici: undici passeggeri e un controllore.
Il controllore colpevole di Milan-Roma è stato evidentemente Stefano Pioli, che ha lentamente impoverito di qualità la squadra, levando prima Diaz poi Bennacer e infine Giroud, a tratti lukakesco nei tanti errori in appoggio ma pur sempre Giroud, con i 192 centimetri che si porta appresso. Ha trasmesso alla squadra, in piena gestione, la sensazione che oramai bisognasse solo assecondare lo scorrere del cronometro, senza farsi male, senza più ricorrere al palleggio con cui aveva addormentato il secondo tempo. E ha sottolineato questo concetto speculativo passando alla difesa a tre, sottovalutando il fatto che tra Eindhoven e Salerno il Milan aveva ballato un sacco proprio sui cross laterali. Segnale recepito dalla Roma ormai boccheggiante che da un corner qualunque, inzuccato da Ibañez, ha trovato la ragione per crederci ancora. La Roma gioca un calcio micidiale, del tutto agli antipodi con le mode e le visioni di oggi: per il gusto di essere bastian contrario Mourinho, che già non è mai stato un progressista, si è trasformato in un voluttuoso reazionario ed è stato quasi un dispiacere non vederlo esultare a bordo campo per il punto sgraffignato, a bearsi delle contumelie di un pubblico che probabilmente gli avrebbe rovesciato di ogni.
Era dal 1992-93 che la Roma non usciva imbattuta nello stesso campionato dai campi di Inter, Milan e Juventus: lo ha fatto raccogliendo cinque punti e segnando cinque gol, quattro dei quali sui calci piazzati (Abraham ieri e contro la Juve, Smalling contro l'Inter, Ibañez contro il Milan) conquistati con metodo e furbizia e disegnati magnificamente da Pellegrini e Dybala. Il resto non è mai stato pervenuto, come non lo era stato nei due big-match persi in casa contro Lazio e Napoli: negli scontri diretti la Roma a palla in movimento semplicemente non esiste, ormai non si preoccupa nemmeno di darsi un gioco, affastella confusamente talenti smarriti come Zaniolo lungo la linea laterale, mortificandolo in un lavoro di ripiego che non sa fare e che lo innervosisce, come dimostrano le continue proteste. Tanto poi conta il risultato, solo il risultato, e Mourinho – che il calcio lo conosce – è consapevole dell'importanza di quelle “seconde partite” che, se sei stato bravo e sei rimasto in corsa, alla fine ti daranno un'occasione per spuntarla.
È un discorso ancora più vero nel Vietnam dei tornei a eliminazione diretta dove non a caso il portoghese eccelle: la sua Roma ha dunque paradossalmente bisogno di essere così sparagnina, ridotta all'osso, perché altrimenti non è. Ognuno di noi ha un lato masochistico più o meno pronunciato, comunque sempre presente, che bussa al nostro inconscio nei momenti in cui abbassiamo la guardia, per esempio mentre torniamo bambini dedicandoci a guardare partite di calcio: l'animale che ci portiamo dentro, quando raggiungiamo l'apice del masochismo, non vede l'ora che arrivi il prossimo Roma-Juventus.
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