C'è del bello nella Juventus di Allegri. Tipo la riscoperta della zona Cesarini
Contro il Napoli i bianconeri si giocano la possibilità di credere davvero ancora nello scudetto. Perché il "corto muso" è a suo modo una forma di perfezione calcistica
Pare che la Juventus sia tornata di moda. E con lei mister Allegri che, da acciughina in balia delle correnti avverse, calcistiche e societarie, ora si trova a essere l’unico rimasto al suo posto con la chiara intenzione di tenere ben saldo il timone tra le mani. Nonostante le critiche, sembra che quando si vince e si torna a competere per la vittoria, anche molti benpensanti del bel gioco saltino sulla barca del cortomusismo che, almeno per chi scrive, è un’arte. Non solo perché, non prendendo gol, male che vada si porta a casa un pareggio, ma perché a livello emozionale è tutta un’altra storia.
Brera diceva che la partita perfetta termina 0-0. Io credo invece che la perfezione sia il corto-muso. Specialmente se quel gol arriva nei minuti finali. La Zona Cesarini non esisterebbe senza il corto-muso. È la sublimazione della perfezione. E finalmente, lo dico con un godimento assoluto, è tornata sulla bocca di tutti. E la cosa fa parte del dna bianconero visto che Renato Cesarini, da giocatore, con la Vecchia Signora vinse ben 5 scudetti nel quinquennio d’oro e da allenatore, oltre a un campionato, si mise in tasca anche due Coppe Italia consecutive realizzando nella stagione 1959-60 la prima doppietta nazionale della storia del club. Basterebbe questo per essere ricordati. Ma il buon Renato, come scrisse felicemente Alessandro Baricco, fece molto di più: "[…] quando dai il tuo nome a un pezzetto di Tempo — il quale è solo di Dio, dice la Bibbia — qualcosa nella vita lo hai fatto".
Cesarini ha modificato il linguaggio degli italiani per sempre. L’espressione, che indica qualcosa che accade in extremis, ha una data di nascita. Il 13 dicembre 1931 a Torino si gioca Italia-Ungheria per la Coppa Internazionale: la partita è decisa dal 3-2 di Cesarini che diventò il primo giocatore azzurro della storia del calcio a segnare al 90esimo. La settimana successiva, in occasione della rete dell’Ambrosiana contro la Roma allo scadere, il giornalista Eugenio Danese scrisse che quel gol era un “caso Cesarini”. Il gioco era fatto: un minuto e il tuo cognome è una firma sull’eternità.
Segnare sul finale è come stappare una bottiglia di buon vino. Non è soltanto il gesto necessario ad aprirla. Parliamo di qualcosa di molto simile a un rito, è un'azione esatta e meticolosa, un'arte. Si "cavano i tappi" per liberare la gioia di vivere. A quei gol si gode perché tutte le emozioni provate nei minuti precedenti si condensano in un istante, in una sorta di deflagrazione mentale, fisica e vocale. La zona Cesarini è una scheggia impazzita nell’ordine naturale delle cose: porta chi segna dall’inferno al paradiso, chi perde ad una frattura temporale senza rimedio col cuore che si ferma di colpo insieme al pallone adagiato nella rete.
I giocatori e i tifosi della Juventus ultimamente conoscono bene queste sensazioni. Sanno cadere e rialzarsi. E quando lo fanno distillando gocce di gioia dagli ultimi giri di lancette, è l’emozione più radicale, inaudita e speciale che ci possa essere. Napoli-Juventus non è mai una partita come le altre. Soprattutto quella di stasera, con i partenopei lanciati a mille e i bianconeri tornati inaspettatamente in corsa dopo una striscia positiva francamente inimmaginabile, dalla quale, con buona pace di Roberto Saviano e dei suoi timori "che si metta in moto la grande macchina che spinge le squadre del Nord", ci mancano i 2 punti con la Salernitana per quella rete annullata, ça va sans dire, proprio in quel momento là.
A proposito: visto che dalle parti del Vesuvio la scaramanzia conta ancora qualcosa, Cesarini esordì in maglia bianconera proprio a Napoli il 23 marzo 1930. Vuoi che proprio stasera non gli venga voglia di buttare l’occhio sul Maradona? Oggi poi è pure il mio compleanno. Vincere di corto-muso in zona Cesarini sarebbe un regalo più che perfetto.