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La diversità di Thibaut Pinot

Giovanni Battistuzzi

Il francese ha annunciato che al termine di questa stagione si ritierà dal ciclismo: saluterà tutti al Giro di Lombardia. Un corridore che non è stato solo pedalate, ma anche parole

A volta accade che la bicicletta riesca a fare ciò che nemmeno l'Unione europea, la chiesa, l'umanitarismo più spinto, quello che dice i confini non dovrebbero esistere perché siamo tutti uomini, è mai riuscito a fare: creare una vicinanza emotiva tra un italiano e un francese. La bicicletta è uno strambo meccanismo che non solo permette il movimento di una persona in uno spazio, riesce a creare in chiunque la usa una sorta di unificazione delle sensazioni, una vicinanza, umanissima, tra chi è seduto su un divano, o in piedi a bordo strada, e chi su quella strada, magari ripreso dalla televisione, muove i pedali con l'obbiettivo di conquistare una corsa. E in questo moto di avvicinamento può capitare anche che al passaporto non si faccia caso, che la lingua parlata perda di importanza, che un italiano possa sperare con convinzione e trasporto emotivo che un francese riesca a vincere.

 

Magari un francese tipo Thibaut Pinot.

 

Restano nove mesi ancora, poi chissà quando una cosa del genere ricapiterà di nuovo. Magari passeranno solo pochi mesi, pochi anni. Magari non accadrà più, non almeno così intensamente. Thibaut Pinot ha annunciato che a fine stagione, a ottobre, perché per uno come lui la stagione finisce sempre a ottobre, al termine di una delle corse che più ha amato, che più è stato contento di vincere, il Giro di Lombardia.

 

Thibaut Pinot l'ha vinta nel 2018. E chi era a Como quel giorno, quel 13 ottobre, ricorderà come lungo il percorso, al bordo della strada che porta alla Colma di Sormano, su quel Muro che a tratti sembra inumano, al limitare dell'asfalto che conduce a Civiglio o Monte Olimpino (quella di San Fermo era impraticabile), e dietro le transenne sul lungolario, buona parte della gente era sorridente, contenta che davanti a tutti ci fosse un corridore come Thibaut Pinot. E questo nonostante Vincenzo Nibali fosse dietro, a inseguire, staccato, ma si sa mai il ciclismo. Nibali inseguiva Pinot e la gente a bordo strada diceva vai allez forza, cose così, espressioni che si dicono a bordo strada, magari di più ai connazionali. Non quella volta. Quella volta erano per Thibaut Pinot. E non solo quel 13 ottobre. Spesso, quasi ovunque, quando Thibaut Pinot era in gruppo, un vai allez forza diretto a lui lo si sentiva sempre.

 

Thibaut Pinot più che francese era un corridore, un corridore di quelli che anche se si è solo una volta tentato di arrivare in cima a un colle su di una bicicletta è difficile volergli male. Perché parla la lingua universale della fatica, il suo incedere è un tentativo, sempre leggero, di trasformare un'ascesa in una scalinata verso le stelle. Perché mentre pedalava si è sempre trovato a cercare di evitare ciò che di solito chiamiamo sfiga, che poi sono solo incidenti di percorso, intoppi che obbligano a mettere il piede a terra.

 

Non sono però gli intoppi che hanno avvicinato Thibaut Pinot al pubblico internazionale del ciclismo. Quelli sono arrivati dopo, quando poteva vincere ma non lo ha fatto, quando era lì lì per cogliere vittorie buone per diventare un nome da albi d'oro e non solo un ricordo affettuoso. Arrivava sempre il Momento Pinot, l'attimo nel quale tutto quello che si era fatto si sgretola. Già prima, quando era solo un giovanotto pronto a riannodare il Tour de France alla Francia – è dal 1985 che i francesi aspettano un francese in maglia gialla a Parigi, l'ultimo a riuscirci fu Bernard Hinault –, Thibaut Pinot non era solo uno che veniva dall'altra parte delle Alpi. Era un senza terra, almeno di tifo, perché in quegli occhi, in quel suo sembrare fuori tempo e fuori contesto, l'appassionato di ciclismo riusciva a vedere tutti i dubbi, i difetti, le difficoltà di chi, in fondo in fondo, è convinto di non essere nel posto giusto.

 

Parlavo poco allora. Ed era un peccato. Perché Thibaut Pinot è stato in questi anni anche parole e non solo scatti e rincorse. Parole messe in fila come pedalate in salita. Sofferte, veloci per quanto lente, affannose ma mai affannate. Tipo quelle usate in un'intervista ad Alexandre Roos dell'Equipe, una magnifica intervista, nella quale spiega i motivi della sua scelta e nel farlo ci rende chiaro il perché gli abbiamo voluto bene.

 

Thibaut Pinot ci passerà davanti agli occhi per altri nove mesi. Al Giro d'Italia proverà a divertirsi, a cercare quello che il col Tsecore gli ha negato: lì una crisi lo mise fuori causa: finì in ospedale. Poi cercherà di farsi trovare pronto per il Tour de France, la corsa che nel 2019 avrebbe anche potuto vincere o quantomeno finire sul podio: si ritirò anche lì. Il finale, il gran finale sarà al Giro di Lombardia.

 

Altri nove mesi. Poi Thibaut Pinot scomparirà da davanti ai nostri occhi. Si ritirerà in montagna, nella sua fattoria, tra quello che ama di più: Claire, la natura, gli animali.

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