Foto Ap, via LaPresse

Nba. Che fine ha fatto Simone Fontecchio?

Andrea Lamperti

Perché il giocatore della Nazionale italiana dopo un grande Europeo e diversi anni ad alto livello in Europa, sta faticando a trovare spazio oltreoceano?

Dopo la sfida di inizio dicembre tra Jazz e Warriors, decisa da una schiacciata di Simone Fontecchio nel finale, abbiamo tutti pensato che la sua avventura a Salt Lake City fosse giunta a un punto di svolta. Non solo per il game-winner a ridosso della sirena, ma anche per l’impatto (18 punti, il massimo finora in Nba) che ha avuto nella vittoria.

  

   

Anche dopo quella prestazione, però, lo spazio concesso da coach Hardy a Fontecchio è stato di nuovo limitato a qualche manciata di minuti qui e lì, con la maggior parte delle gare vissute da spettatore: una costante, purtroppo, dei suoi primi mesi di Nba. Ma perché la stella della Nazionale azzurra, dopo un EuroBasket fenomenale e diversi anni ad alto livello in Europa, sta faticando tanto a trovare spazio oltreoceano?

 

Dalle nostre parti, in molti ne fanno una questione di pregiudizio verso gli atleti europei, ma si tratta di una teoria – questa sì, permeata di preconcetti – che non ha diritto di cittadinanza nell’Nba del 2023. Ci sono altre ragioni per spiegare l’inizio in salita di Fontecchio nella lega, da cui scaturiscono altrettanti buoni motivi per sperare che il punto di svolta, prima o dopo, arrivi davvero.

 

L’Nba, come si suol dire, è una lega di opportunità: tante o poche che siano, te ne capiterà qualcuna e la devi sfruttare per metterti in mostra. Le chances concesse a Fontecchio per ora non sono state molte, ma una prima metà di Regular Season del genere era abbastanza prevedibile, considerando la sua assenza in Summer League e per buona parte della Preseason, a causa dell’impegno estivo con la Nazionale.

 

Poi, ci si è messa anche la sfortuna: una settimana di assenza causa Covid, una distorsione alla caviglia e un’influenza hanno minato la sua continuità, declassandolo ulteriormente nelle gerarchie.

  

Per quanto visto sul campo, comunque, l’ala ex Baskonia e Alba Berlino ha confermato i pregi che conosciamo – pericolosità perimetrale, stazza, versatilità – pur in un ruolo marginale rispetto alle abitudini del passato. Qualità che si è dimostrato pronto a esprimere fin dal giorno zero. Giocare in una squadra come Utah, però, proiettata più al futuro che al presente (nonostante un’annata fin qui oltre le aspettative), ha delle implicazioni per il nostro Simone. Per esempio, coach Hardy di recente ha preferito dare minuti ad Ochai Agbaji, 22enne su cui la franchigia ha fatto un importante investimento nello scorso Draft, piuttosto che a Fontecchio, che di anni ne ha compiuti 27 a dicembre. L’azzurro è più o meno un prodotto finito, ha un ridotto margine di crescita e quindi, inevitabilmente, rappresenta un progetto meno interessante per i Jazz.

   

Di occasioni, in ogni caso, ce ne saranno altre, che auspicabilmente ne potranno generare delle ulteriori. Soprattutto se nell’ultimo mese di mercato qualche elemento del roster venisse ceduto (senza escludere che capiti proprio a Fontecchio), oppure se la squadra si allontanasse dalla zona playoff. L’approccio di Simone, intanto, è quello giusto. “Cerco solo di farmi trovare pronto”, ha detto dopo il career-high contro Golden State. “E intanto, mi godo ogni singolo momento”.

Di più su questi argomenti: