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gran calma #18

In Serie A è tutto deciso con un girone d'anticipo? No, ma quasi

Enrico Veronese

Pur nell’anomalia della sosta mondiale il campionato è ripreso come si era fermato. Il Napoli davanti, tre squadre ben distanti dalla zona retrocessione. Si accorcia però il divario tra le papabili alla Champions League e quelle che al momento disputerebbero l’Europa League.

I risultati della 18esima giornata di Serie A

Cremonese-Monza 2-3 (Ciurria, Caprari, Caprari, Dessers, Ciofani)

Lecce-Milan 2-2 (T. Hernandez aut., Baschirotto, Leao, Calabria)

Inter-Verona 1-0 (Lautaro Martinez)

Sassuolo-Lazio 0-2 (Zaccagni, Felipe Andersson)

Torino-Spezia 0-1 (Nzola)

Udinese-Bologna 1-2 (Beto, Sansone, Posch)

Atalanta-Salernitana 8-2 (Boga, Dia, Lookman, Lookman, Scalvini, Koopmeiners, Hojlund, Ederson, Zortea, Caviglia)

Roma-Fiorentina 2-0 (Dybala, Dybala)

Empoli-Sampdoria 1-0 (Buehi)

 

La classifica della Serie A dopo 18 giornate

Napoli 47; Milan 38; Juventus e Inter 37; Lazio, Atalanta e Roma 34; Udinese 25; Torino e Fiorentina 23; Bologna e Empoli 22; Monza 21; Lecce 20; Salernitana e Spezia 18; Sassuolo 16; Sampdoria e Hellas Verona 9; Cremonese 7

 

Perché la classifica provvisoria dice che molto è già pacifico, ma non ancora tutto

Quanti gol. Cinque a uno, otto a due, due a due, due a tre. All’improvviso si aprono le cataratte anche dove non si pensava, come per l’alluvione del Po settant’anni fa: mai nella storia a gennaio la prima aveva nove punti di vantaggio nei confronti della seconda, praticamente mai le retrocesse apparivano già determinate alla fine del girone d’andata. Si accorcia invece il divario tra le papabili alla Champions League e quelle che al momento disputerebbero l’Europa League: ma ben difficilmente le società già “tranquille” di rimanere in Serie A l’anno prossimo potranno insidiare le precedenti. Resta la scappatoia della Coppa Italia, e il Torino insegna che uno o più exploit possono sempre accadere. I romantici penseranno che sia tutto predestinato nelle stelle, intendendo per queste ultime Lionel Messi che vince i Mondiali con addosso la 10 che fu di Diego Maradona, precone e prodromo allo scudetto napoletano. E la commovente fine di Gianluca Vialli corrisponde alla caduta della Sampdoria, che negli ultimi concitati minuti di Empoli ha lasciato cospicue chance di rimonta. Proprio da Napoli un raggio di sole con l’arrivo del promettente Alessandro Zanoli, e l’ennesima assurdità di mercato: Nikita Contini in campo con i blucerchiati nel giovedì di coppa, e contemporaneamente già venduto proprio agli azzurri, e certo di un ulteriore trasloco a Reggio Calabria. L’avvocato del diavolo, comunque, suggerisce gran calma: in caso di congiunzione astrale favorevole a una delle attuali retrocedende – Massimiliano Alvini, un signore, meritava di più – occhio al Sassuolo che ha iniziato l’anno in forte difficoltà (come pure l’Udinese che però mantiene una solida riserva di punti già acquisiti in cascina). E senza potersi appellare a Gianluca Scamacca o Giacomo Raspadori.


Perché la splendida stagione del Napoli può diventare addirittura inimmaginabile

Non può passare sotto silenzio quanto accaduto allo stadio partenopeo lo scorso venerdì sera. La gran calma nelle valutazioni vacilla davanti a un campionato che dopo gli opportuni assestamenti si mostra quanto mai leggibile: pur nell’anomalia della sosta mondiale, è ripreso come si era fermato. Anzi, se possibile, il marchio di Luciano Spalletti è ancora più a fuoco: a poco vale recriminare per la traversa di Ángel di María, per il quasi autogol di Amir Rrahmani, per le assenze che hanno azzerato l’intera fascia destra bianconera. Questo Napoli sta vincendo dopo aver scientemente venduto i totem Kalidou Koulibay, Dries Mertens e Lorenzo Insigne, con un terzino destro capitano come fu Giuseppe Bruscolotti, nuove attrazioni (Kvara, Kim, Olivera) e geometrie variabili a centrocampo, soprattutto con lo strapotere di uno dei migliori centravanti in circolazione. Ma c’è di più: il 21 febbraio allo stadio Maradona scenderanno i tedeschi dell’Eintracht Francoforte per l’ottavo di finale di Champions League. Non proprio un avversario imbattibile… e poi chissà, ai quarti di finale, un sorteggio benevolo e il perdurare della forma potrebbero schiudere scenari affascinanti, del tutto impensabili a inizio stagione. Perché oggi, in Europa, ben poche squadre giocano così, fuoriclasse o meno: quindi sognare di più è ormai lecito.

 

Perché nel campionato dei giovani è anche colpa del Milan se il Napoli non ha rivali

Non c’è una formazione in predicato di vincere lo scudetto se non ce n’è una che abdica dal tricolore cucito sopra le proprie maglie. Ogni anno, anche per i campioni in carica, è scontato e naturale un periodo (magari breve) di appannamento, di pareggi e rimpianti: al Milan sta succedendo ora, ed è difficile considerarne le cause, se si pensa che – infortunio di Maignan a parte – l’undici di partenza è quasi sempre lo stesso della scorsa, trionfale stagione. Colpa di Orsato che era sempre in mezzo all’azione? O la cessione di Franck Kessié è davvero così decisiva? Gran calma con gli eventuali, remoti, nascosti tentativi di recompra: anche se i molti tentativi di Olivier Giroud in rovesciata hanno cercato di mascherarla. “Che strefezza di Milan”, il commento più gettonato durante il primo tempo del Lecce, che con Baroni convince alla napoletana o forse à la Zeman: la chiave del match era incanalata nell’assenza di Sandro Tonali a fronte della lucida regia salentina di Morten Hjulmand, ennesimo gioiello pronto a spiccare il volo. In fin dei conti, anche questo campionato – a partire proprio dalla provincia – sta rivelando nuovi prospetti “dal basso”, storie inedite che diventeranno familiari nel calcio del futuro: “Baschirotto non andare via”, canteranno i tifosi giallorossi la prossima estate, mentre Empoli sforna in serie Tommaso Baldanzi, Nicolò Cambiaghi e Jacopo Fazzini, senza contare il veronese Isak Hien tra i protagonisti della giornata più recente. Che bello sapere che ogni anno il calcio continuerà e sarà sempre diverso, alla faccia di chi si annoia per il possesso di palla e la costruzione dal basso.

 

Perché non c’è un paradigma nelle prestazioni dei calciatori tornati ai club dal Mondiale

A distanza di un mese dalla magnifica finale tra Argentina e Francia, lo stato di forma dei giocatori reduci dal campionato mondiale non è lo stesso per tutti, considerando che la preparazione specifica era stata tarata proprio in virtù dell’appuntamento mediorientale. Se i francesi del Milan battono la fiacca, Rafael Leão magari segna – come in Qatar, quando veniva impiegato per pochi minuti – ma ancora non sfonda la fascia come suo solito. Ci sono quelli che mantengono il proprio standard del periodo (Piotr Zieliński, Mario Rui, André Anguissa non sono stati tra i migliori in Asia, non lo sono ora nel pur fulgido Napoli), sia in ombra – Filip Kostić, Saša Lukić – che nella luce, come Sergej Milinković Savić, Guillermo Ochoa, Nikola Vlašić, Boulaye Dia. Quelli che stanno rendendo meglio nel club, vedi Danilo e Darko Lazović, ma soprattutto Ethan Ampadu e Nikola Zalewski, parsi rigenerati dopo la prematura uscita con le rispettive Nazionali. E chi in Qatar c’è un po’ rimasto, leggi Adrien Rabiot. Gran calma quindi a tracciare una direttrice valida per tutti: come classificare, per esempio, Lautaro Martínez che si sta riscattando nell’Inter, ma resta pur sempre un campione del mondo e a suo modo anche decisivo in finale, dopo aver perso il posto da titolare nell’Albiceleste a vantaggio di Julián Álvarez. Chi sta meglio, tuttavia, è chi alla rassegna iridata non c’è andato, in primis gli uomini dell’Atalanta, Ademola Lookman, Rasmus Hojlund, Jérémie Boga: un fattore non secondario nell’andamento delle prossime settimane.

 

Perché non si tira più da fuori area, e come la rimessa laterale sia diventata un ostacolo

Dall’analisi dei gol, tantissimi, realizzati nel weekend appare chiaro che anche i cecchini più infallibili – una specie evidentemente in via d’estinzione – stanno rinunciando a tirare da fuori area. E di conseguenza a segnare in tale maniera: chissà dove sono finite le verticalizzazioni per cogliere di sorpresa difensori e portieri, le conclusioni d’impeto magari svirgolate d’esterno, i rimpalli che aprono spiragli e favoriscono palloni da indirizzare nel sette. Un po’ la moda del tiro a giro, specie per chi proviene dalle praterie laterali, un po’ il contagio del tiki-taka che quasi chiede all’attaccante di arrivare in porta con la palla al piede, ma tale specialità rischia di essere confinata agli almanacchi. Il calcio che si evolve da solo in un determinato modo è una condizione immutabile? Gran calma, le tante innovazioni tecnologiche (dalla gol line technology alla vivisezione di ogni attimo attraverso il Var, fino al prossimo fuorigioco “semiautomatico”) dicono che anche i regolamenti possono aiutare in un senso o nell’altro. Per esempio: assodato che si fa sempre più fatica a battere efficacemente una rimessa laterale con le mani, tanto da non essere più un vantaggio per chi ha il possesso del pallone e anzi rischia di perderlo subito, perché non mutuare dal calcio a 5 la rimessa laterale con i piedi (magari ponendo alcuni paletti come la distanza massima del passaggio)? Ne guadagnerebbe la giocabilità, e di sicuro verrebbero facilitati anche i tiri da fuori area, ancora oggi tra i massimi fattori di spettacolo all’interno del gioco.

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