dopo la penalizzazione
La Juventus più bella nel momento più brutto
Nel 3-3 contro l'Atalanta, i bianconeri giocano la loro partita più orgogliosa e spettacolare. E ora cosa ne sarà di un campionato che ha sempre meno da dire?
Quarantotto ore di tempesta producono il paradosso della miglior Juventus stagionale, almeno nel primo tempo: la rabbiosa reazione d'orgoglio e le energie nervose spese per rimontare il gol-lampo di Lookman presentano il conto nella ripresa, dove l'Atalanta torna a riproporre uno dei suoi antichi marchi di fabbrica (quella di Maehle, sedicesimo diverso marcatore stagionale, è appena la seconda rete di un esterno di centrocampo) e poi incassa un 3-3 anni Novanta, su punizione di seconda di Danilo assistito da un colpo di suola di quel vecchio micione di Di Maria. Dopo aver subito appena 7 gol in 17 giornate ed essere rimasta imbattuta per otto gare di fila, il bunker di Allegri concede 8 reti in 180 minuti, cosa che alla Juventus non capitava dagli anni Ottanta: un'altra delle tante assurdità di una partita sospesa nello spazio-tempo di questo surreale weekend juventino, che nella speranza di tanti è troppo brutto per essere vero. Ma invece è verissimo e straniante, come quando gli incidenti della vita ti costringono di punto in bianco ad andare a vivere in affitto in una casa più piccola, straniera e inospitale, con facce nuove di cui tenere conto come quella del nuovo amministratore delegato Maurizio Scanavino, uomo di stretta osservanza elkanniana presentatosi ai microfoni nel pre-partita.
Non è facile tenere conto di tutte le emozioni, le suggestioni, le paure e le prospettive piovute addosso alla Juventus da venerdì sera a oggi, da quando si sono trovati con quindici punti in meno in classifica e il rischio di rimanere fuori il prossimo anno dalle coppe europee: un pandemonio emotivo che è stato amplificato da reazioni di pancia, giudizi sommari, propositi di vendetta e l'ineludibile attesa di quella frase che ci fa compagnia al rintocco di ogni sentenza: “Aspettiamo le motivazioni”. Probabilmente arriveranno entro venerdì, ma chi ci arriva a venerdì? Un sentimento di pioggia sul bagnato che ricorda quell'incipit di Vasco Rossi: “La ragazza mi ha lasciato, è colpa mia/sono stato anche bocciato e non andrò via/passerò tutta l'estate qui/compresi i lunedì”. Meritano il massimo rispetto i milioni di tifosi juventini infilati a forza nella seconda centrifuga calcistica in meno di vent'anni; ne meritano meno quelli che hanno reagito insultando sui social giornalisti e magistrati, oppure producendo falsi fotomontaggi sulla moglie del presidente federale Gravina, in generale avvelenando pozzi e animi già stremati dall'approssimarsi di una nuova guerra civile permanente dopo quella che dura dal 2006.
Aspettiamo le motivazioni, dunque, di una sentenza emessa superando in severità le richieste del procuratore Chiné: del resto la pena dev'essere “afflittiva”, deve comportare la perdita di un importante obiettivo sportivo e quindi per assurdo se oggi la Juventus si fosse trovata al posto del Napoli i punti di penalizzazione sarebbero stati 25. Per il poco che ne sappiamo, la requisitoria di Chiné non manca di passaggi controversi, come l'associazione piuttosto forzata tra le plusvalenze fittizie e gli acquisti “con soldi veri” delle ultime stagioni: eventualmente, il Coni ci dirà. Fanno storcere il naso anche le tempistiche di questo provvedimento, che squarciano a metà il campionato e irrimediabilmente lo falsano: la Juve gioca una delle migliori partite stagionali ma guarda sé stessa sprofondare a 14 punti dalla zona Champions, e chissà quanti saranno a fine stagione.
E allora che senso ha? Avvitato in una crisi senza fine che affonda le radici in almeno un decennio di mala gestione, il calcio italiano si condanna a indossare il cilicio dell'irrilevanza anche sul fronte interno, ora che anche la corsa scudetto sembra chiusa per via del super-Napoli dal rendimento mortificante per la concorrenza.
È il diluvio finale, la pioggia di rane, la piaga che dovrebbe bonificare la palude. A parte qualche eccezione alla Iervolino, quasi tutti i dirigenti di serie A hanno commentato la sentenza di venerdì in modo piuttosto prudente, alcuni direttamente camminando rasenti ai muri. Al momento la giustizia sportiva non prevede norme precise contro le plusvalenze fittizie (da cui il secondo proscioglimento di tutti gli altri club coinvolti), ma spira da fuori un brutto vento che riguarda molti. La Juventus sta dunque pagando per tutti? Sì e no: la sentenza ha anche risvolti politici, ma invece che prendersela con i media e i magistrati il versante più talebano dello juventinismo dovrebbe rileggere a fondo, scandendo bene le parole, tutte quelle intercettazioni che fanno cadere le braccia. Hanno valore di prove? No, non ce l'hanno, ma rappresentano “la confessione”, la pistola fumante che mette il punto esclamativo ai serissimi rilievi della Consob già noti alla Procura di Torino, insieme alle altre quattordicimila pagine di documenti trasmesse alla Procura Federale. Se è Andrea Agnelli in persona, al telefono con Maurizio Arrivabene il 3 settembre 2021, a sintetizzare in “merda” tutta la cattiva amministrazione di quel periodo, cosa c'entrano i giornalisti? Se l'ex direttore finanziario Stefano Bertola dice che “non c'è criterio nel modo in cui spendiamo i soldi”, dove sarebbe il complotto? E se è lo stesso ramo Elkann a smantellare in un lunedì sera l'intero vecchio CDA e suggerire ad Andrea Agnelli l'abbandono di ogni carica all'interno di Exor e Stellantis (forse per evitargli guai peggiori), e se la nuova dirigenza proclama subito che si difenderà “con determinazione, ma senza arroganza” con gli stessi toni soft dell'estate 2006, allora dove si colloca esattamente quest'ipotetico nemico?
Magari la Juventus in versione cavallo scosso non dispiacerà più di tanto a Massimiliano Allegri, che proprio sabato pomeriggio ha vinto in Francia una gara di ippica con un cavallo dall'allegorico nome di “Momento Giusto”. Magari il suo fantasma di squadra senza obiettivi – non pensiamo di essere troppo catastrofisti se prevediamo che in ogni caso, tra Uefa e altri filoni d'indagine, la Juventus non parteciperà alle Coppe Europee 2023-2024 – tormenterà i sonni di questo campionato pregiudicato. C'è un'amarezza senza fine attorno a questa storiaccia che infanga nuovamente una società, uno sport, un piccolo popolo di milioni di italiani. A margine, nessuno dei responsabili – né Agnelli, né Paratici, né Arrivabene, né gli altri dirigenti condannati – ha ancora inteso chiedere scusa. “Ci mancherebbe altro, siamo vittime di un'ingiustizia!”, risponderà qualcuno. E sia: ma un bilancio sottozero, una credibilità internazionale rasa al suolo dal golpe della Superlega, una penalizzazione senza precedenti per la storia della Serie A (perlomeno a stagione in corso), il disastro economico, politico e comunicativo degli ultimi cinque anni della gestione Agnelli meriterebbero forse una sorta di obbligo morale al mea culpa. Non è il caso di questo paese e forse non è nemmeno il caso di quella Juventus che è definitivamente uscita di scena a fine 2022, tra le pernacchie di un'estrema sgangherata difesa a cura del radiato Luciano Moggi in seno all'assemblea del 27 dicembre: un altro harakiri mediatico non da poco, da sottoporre all'attenzione di chi sta ululando alla luna. Una Juve trionfale per nove anni e poi improvvisamente – ma non sorprendentemente – sciagurata; una Juve che comunque la pensiate non tornerà, nell'ostinato mutismo dei vecchi colpevoli e nel silenzio imbarazzato di questo provvisorio governo tecnico.
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