Sulla condanna alla Juventus Repubblica finisce nel pallone
Ci voleva lo scandalo della Juve, la squadra del gruppo Gedi, per trasformare il giornale della questione morale (degli altri) in un giornale fieramente garantista. Grazie mille, conflitto di interessi
La vicenda della pesante penalizzazione, 15 punti nel campionato in corso di serie A, inflitta alla Juventus dalla Corte d’appello della Federcalcio attende (e necessita) di essere chiarita dalle motivazioni della sentenza, a fine gennaio. Per ora rimane ad aleggiare come una perturbazione artica sopra la curva bianconera, per metà orgogliosa e per metà indignata con la propria dirigenza, e sopra le curve di diverso umore di altre tifoserie. E lì converrebbe lasciarla, prendendo però atto che le sentenze, se rese esecutive prima che l’iter della giustizia sia concluso, provocano danni e anomalie poi difficilmente emendabili. La sentenza dei 15 punti dimostra almeno una cosa: in Italia c’è un solo sistema messo peggio del sistema calcio, ed è il sistema della giustizia, di cui quella sportiva è un ricalco.
C’è però un aspetto connesso al caso di giustizia sportiva, e parallelamente penale, che riguarda Juventus Football Club spa che vale la pena segnalare, perché ha tutti i crismi della notizia, e anzi festeggiare: perché è una buona notizia. Non riguarda direttamente il club bianconero, ma un’altra società che fa parte della stessa holding, Exor: il gruppo Gedi, presieduto da John Elkann, editore di Repubblica (del quale, en passant, il neo ad di Juventus, Maurizio Scanavino, è stato ad e direttore generale). La buona notizia riguarda Repubblica, che ha tradizione di eccellenti pagine sportive, e che nell’attuale vicenda ha un doppio ruolo in commedia: di equanime narratore dei fatti e di parte in causa, per contiguità proprietaria attraverso Gedi. Come si maneggia un caso complicato, e che riguarda se stessi? Repubblica, il quotidiano che fu di Eugenio Scalfari e che ha fatto della questione morale la sua principale questione editoriale, ha sfoderato ora, all’improvviso diremmo, una serie di cambi di prospettiva, di giravolte e di retromarce, da far invidia al famoso governo in retromarcia di Giorgia Meloni. Il giornale della questione morale sabato scorso, la mattina dopo la sentenza esplosiva, che certificava per via tribunalizia lo scandalo e bollava una squadra come società di malaffare, anziché uscirsene con un titolo bastonatore tipo “Terremoto nel calcio”, come fece ai tempi del Calcioscommesse, correlato da un editoriale alla scimitarra, “Se questo è uno sport”, se n’è uscito con una puntuta critica alla magistratura sportiva, “Un giudizio frettoloso”.
E finalmente addio alla questione morale, intesa come astratto furore valido solo quando c’è da pestarlo in testa agli altri. Per dire, il Corriere la stessa mattina aveva per titolo: “Questo è peggio di calciopoli”. E domenica aveva una anodina spiegazione del “perché i bianconeri sono gli unici sanzionati”. Ieri, evviva, l’evoluzione garantista è apparsa nella sua geometrica potenza. Un bellissimo commento di Paolo Condò, tra i migliori giornalisti sportivi italiani, e non v’è dubbio che avrebbe scritto lo stesso anche se fosse stata in ballo un’altra squadra, ha infilzato con frecce garantiste “l’anomalia dei verdetti a rate” e la penalizzazione in corsa, una “novità che sarebbe stato meglio evitare”. Anche perché, argomenta Condò – altro che Carofiglio, qui sembra il professor Fiandaca – i procedimenti di giustizia sportiva non sono ancora chiusi, potrebbero arrivare altre penalizzazioni. E a questo punto, diversamente da altri casi precedenti, il campionato in corso risulterebbe davvero falsato. Inoltre il tutto si basa su una inchiesta. penale, la “Prisma”, chiusa in ottobre ma che ancora non ha prodotto sentenze. Se poi risultassero tutti innocenti? E con questo il problema del garantismo e del rispetto delle regole formali processuali è finalmente risolto, da parte di un giornale che ha sempre praticato, con gli avversari, il giustizialismo di fatto. E che ancora ieri, in altra sezione sparava l’ennesimo ululato al 41bis dell’ex procuratore e ora 5s Scarpinato.
Si dirà: in questo caso aleggia qualcosa più di un vago sospetto di conflitto di interessi. Certo, e molto bene: è un altro dei moloch ipocriti che hanno contrassegnato un’intera stagione di Rep. che precipita. C’era una volta il conflitto d’interessi, ora ecco uno squillante articolo in cui a prendere la parola è direttamente l’ad Scanavino che – incurante dell’antica regola della casa sulle sentenze non si criticano – tuona: “Sentenza assolutamente ingiusta e iniqua”. Scrive, il quotidiano che ha risolto il conflitto di interessi, che “le parole di Scanavino hanno ‘lanciato ai tifosi il messaggio che attendevano’” e sono un chiaro “riferimento al fatto che l’istanza per i domiciliari per alcuni dirigenti – compreso Agnelli – non sia stata accolta dal gip di Torino”. E, sempre per stare super partes, dice Rep.: “Né ottimismo né pessimismo, né previsioni né speranze: stati d’animo che qualche giorno fa sono stati disattesi, traditi della riapertura del caso e dalla sentenza”. “Traditi”. Manco il compianto Ghedini. Per chiarire meglio, Scanavino chiosa: “Perché oggi succede a noi, domani può succedere ad altre società’”. E qui viene da esultare come per un gol della Nazionale. Manca solo qualche pacato commento, per confortare i propri tifosi, sull’uso spericolato delle intercettazioni, sul loro abuso sputtanatorio e soprattutto della pretesa – così tipica di certa magistratura, così connaturata al giornale che imbastì la campagna dei post-it “intercettateci tutti” e che ancora sabato titolava “Tentazione di bavaglio” – per fare del quotidiano del gruppo Gedi un presidio del garantismo. Manca solo un bel titolo, tipo: “Se non ci fossero state quelle maledette intercettazioni, saremmo ancora in zona Champions”.