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il protagonista

I nuovi panni di Giovanni Simeone

Marco Gaetani

Nelle ultime due stagioni l'attaccante argentino è riuscito a cancellare tutti i dubbi che si erano accumulati sul suo conto nelle stagioni più difficili della sua carriera. Ora al Napoli ha trovato il suo posto nel mondo, anche se soltanto per 20 minuti a partita

Due anni fa, di questi tempi, Giovanni Simeone era un attaccante in disarmo, oggetto misterioso in un Cagliari disastrato, destinato a passare dalle mani di Eusebio Di Francesco a quelle di Leonardo Semplici. Era sempre stato un generoso, uno di quei giocatori che piacciono agli allenatori per tutto quello che gira attorno al gol: la capacità di fare reparto da solo, di andare in pressing, di rappresentare un esempio da seguire per i compagni. Ma in quei mesi di Cagliari, in cui i gol non arrivavano, sembrava semplicemente inadatto alla Serie A.

   

Al minuto 86 di Napoli-Roma, quando ha ricevuto palla all’imbocco dell’area, con un controllo orientato ha spiazzato totalmente Chris Smalling, uno dei migliori difensori del nostro campionato. La preparazione perfetta, condita dal sinistro che si è infilato sotto la traversa, ha lasciato Rui Patricio senza la possibilità di reagire e ha tolto il tappo a uno stadio che era rimasto gelato dal pareggio di El Shaarawy. In due anni, Simeone ha cancellato tutti i dubbi che si erano accumulati sul suo conto nelle stagioni più difficili della sua carriera. L’esperienza di Verona gli è servita per rimettersi in carreggiata in maniera tonante: i quattro gol alla Lazio, i due gioielli alla Juventus, una cavalcata esaltante che gli ha regalato la chance di una vita, proprio in quella piazza che aveva contribuito a far piangere il 29 aprile del 2018. Quel giorno, con addosso la maglia della Fiorentina, aveva segnato tre gol a un Napoli appena rientrato prepotentemente in corsa per lo scudetto, dopo il colpo grosso dello Stadium con la testata di Koulibaly: Sarri parlò di scudetto perso in albergo, ma le tre sberle di Simeone incisero non poco.

   

Arrivato in una grande a 27 anni, si è calato perfettamente nei panni richiesti dalla situazione. È la riserva silenziosa pronta a entrare in campo quando lo spartito lo richiede, il super-sub in grado di incidere anche nelle sfide di vertice: a metà settembre aveva sbrogliato la matassa intricata di San Siro, contro un Milan ancora più vicino a quello dello scorso anno rispetto a quello allo sbando delle ultime settimane. Lo aveva fatto con un gol che sembrava uscito da una compilation di colpi di testa del padre Diego, e pensare che al momento dell’approdo in Italia, al Genoa, aveva chiesto di non essere chiamato Cholito, proprio per provare ad allontanarsi dalle orme del papà. Ma con il dna non si scherza, e dall’ex centrocampista di Inter e Lazio Giovanni ha ereditato il modo di stare in campo, a prescindere dal ruolo: la stessa abnegazione, la voglia di rimanere sul pezzo fino all’ultimo istante, a costo di rimanere sul terreno di gioco senza fiato. Partire alle spalle del miglior centravanti del campionato non gli ha provocato alcun problema: non ha la potenza né il genio esecutivo di Osimhen, manifestatosi in tutta la sua bellezza e potenza nel gioiello del momentaneo 1-0 contro la Roma, ma sa compensare con la capacità di leggere il posizionamento dei difensori avversari.

  

Il calcio di Simeone è fatto di attimi rubati, di cross intercettati un istante prima degli altri, di fiuto e tenacia. L’urlo della notte di Fuorigrotta, dopo il gol da tre punti contro la migliore Roma della stagione, aveva il contorno dorato che si accompagna al tricolore. "Avevo un po’ di mal di pancia, non stavo bene ma ho dato tutto", ha detto a fine partita, con un sorriso che continuava ad affiorare. Il sorriso di chi ha trovato il suo posto nel mondo, anche se soltanto per 20 minuti a partita.

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