L'ora del fondo, lo sci low-cost emerso dalle crisi
Agile, nella natura, dipende soltanto dalla neve naturale. E per questo registra nuovi entusiasti: “Pandemia e caro bollette ci hanno colpito meno dello sci alpino”, spiega il presidente di Dolomiti NordicSki, il reticolo di piste più esteso d’Europa
Lontano dagli skipass a peso d’oro, via dalle ovovie strapiene. Senza più curarsi degli sciatori incerti in mezzo al tracciato o di quegli scarponi granitici – quattro chili ciascuno – appena ci si trascina verso una baita. C’è un altro sci ai piedi della montagna. “E non tutti sanno cosa significa fare sport a contatto con la natura, in pieno inverno”, dice al Foglio Thomas Walch. Però negli ultimi tempi s’è sparsa la voce: il fondo va, funziona, riscopre un appeal dimenticato. “I conti si fanno a fine stagione, però stiamo riscontrando un significativo aumento di appassionati. Ovvio: la nostra macchina non potrà mai competere coi volumi d’affari della discesa libera”, pure ripartita alla grande dopo un biennio di restrizioni. “Ma nonostante tutto, pandemia e crisi energetica ci hanno portato alcuni vantaggi competitivi”.
Walch è il presidente di Dolomiti NordicSki, il reticolo di piste da fondo più grande d’Europa che per 955 km si estende fra Val Pusteria, Ladinia, Cadore veneto e Tirolo austriaco. Un paradiso per la disciplina. “In primis a livello agonistico: ogni anno a Dobbiaco ospitiamo una tappa di Coppa del mondo, mentre il circuito di Anterselva è il fiore all’occhiello del biathlon e qui nel 2026 verranno assegnate tutte le undici medaglie di categoria alle Olimpiadi di Milano-Cortina. Il nostro territorio esprime testimonial rinomati, da Dorothea Wierer a Dominik Windisch. E grazie agli eventi di punta richiamiamo sciatori da tutta Europa. Soprattutto dai paesi scandinavi”.
Oggi però, ci comunicano dal quartier generale di Dobbiaco (Alto Adige), arrivano richieste di informazioni e curiosità sullo sci nordico anche da oltreoceano. Stati Uniti, Canada. Perfino dal Brasile. “E qui passiamo alla clientela amatoriale”, continua Walch, “che di solito non coincide con chi è avvezzo ai ritmi dello sci alpino. Però un prodotto diverso vuol dire anche costi diversi”. Si pensi agli abbonamenti: per il fondo, lo stagionale viene emesso a 140 euro. Che ormai è poco più di quel che richiede una sola giornata di discesa, tra skipass e noleggio dell’attrezzatura. “Per battere le nostre piste, noi non dobbiamo ricorrere a un uso intensivo dei cannoni da neve. Né ci servono gli impianti di risalita. Per questo stiamo accusando in minor misura il caro bollette, che per i comprensori convenzionali invece si ripercuote con un sovrapprezzo sul consumatore. Così beneficiamo di un po’ di spillover. E di nuovi turisti che mettono al vaglio le varie offerte della montagna”.
Il rovescio della medaglia è che lo sci di fondo è praticabile soltanto se lo vuole il cielo. Letteralmente. “O nevica, o tanti saluti!”, sorride il presidente. “Senza uno strato di neve naturale non possiamo aprire le piste. Quest’anno le condizioni atmosferiche sono state complicate, da almeno un mese siamo comunque a regime in tutte le nove aree di Dolomiti NordicSki e da Natale in poi abbiamo avuto un importante ritorno di avventori. Sia italiani, sia stranieri”. Al momento sono percorribili 112 piste su 190: meno del 60 per cento. “Fuori dalla finestra però vedo qualche fiocco. E ne sono previsti altri”, ottimismo d’alta quota. “Parlo spesso con chi scia, con chi lavora ai noleggi: il boom dello scorso inverno continua ad assicurare lunghi strascichi positivi”. Walch è anche il vicepresidente dell’Unione albergatori Alto Adige. E mentre la montagna finiva nella morsa del Covid, ebbe una felice intuizione: “Fondo gratis per tutti. Molti ne hanno approfittato e così il turismo provinciale ha evitato il congelamento. Siamo comunque la seconda disciplina invernale più popolare: alloggi, baite e agenzie di viaggi dipendono anche da noi. E noi faremo di tutto per continuare a crescere, coinvolgendo ogni attore del territorio e le federazioni sportive”.
C’è un ultimo aspetto, per spiegare il revival dei fondisti. Quegli sci agili, lunghi e ultraleggeri stanno alla neve come la bici al sentiero. O le scarpe da corsa al parco: sport non di contatto, spesso spalmati su lunghe distanze, che durante la pandemia hanno fatto fortuna. “E ora che stiamo voltando pagina, emergono per quello che sono: liberi e salutari”. Basta lasciarsi andare sulla solida scia del gatto delle nevi, a passo alternato o a ritmo di skating. Attorno il silenzio, l’odore di pino mugo, la roccia dolomia da scansionare con calma in tutte le sue increspature: sembra un documentario. Soltanto che si fa.