Sei Nazioni 2023
L'Italia torna da Twickenham sconfitta ma non ridimensionata
Contro l'Inghilterra la Nazionale azzurra è rimasta impantanata in una partita sporca con i maestri di questa particolare forma di rugby. Ma non tutto è da buttare. A partire dal ritorno in campo di Jake Polledri
Sullo schermo dello stadio Twickenham, la cattedrale del rugby dell’emisfero nord (quella australe è decisamente Eden Park, ad Auckland, Nuova Zelanda) c’è scritto 56:25. È il momento che la Nazionale italiana aspettava dal minuto 67 di un’Italia-Scozia giocata a Firenze il 14 novembre del 2020: torna in campo Jake Polledri. Due anni e tre mesi di recupero mentale e psicologico, perché quell’intervento in cui Jake rimane a terra vengono portati via tutti i legamenti del ginocchio destro e vengono lesionati il polpaccio, la tibia, il perone e, soprattutto, le terminazioni neurologiche. Da quel pomeriggio passano ventisette mesi. Ventisette mesi in cui la terza linea azzurra ha vissuto anche la morte improvvisa del fratello, Sam. Ventisette mesi che avrebbero messo alle corde chiunque, in cui ha dovuto reimparare a camminare, per tornare a correre. È questo ciò che tiene insieme Polledri e tutta la Nazionale.
Se con la Francia un’Italia spavalda ha spaventato una delle squadre più forti del mondo, ieri è rimasta impantanata in una partita sporca con i maestri di questa particolare forma di rugby: gli inglesi. Se volete un rugby sporco, che passa per interruzioni, mischie, gioco sullo stretto, difesa aggressiva, potete chiedere alla nazionale in maglia bianca, che quando è in difficoltà si poggia sul tanto bistrattato gioco delle testate.
Camminare oggi per correre domani, è questo il mantra che i ragazzi di Crowley devono tenere in mente, portando con loro ciò che di buono c’è stato anche ieri, perché il 31-14 di Twickenham non è da buttare in toto. L’intensità, le rimesse laterali, i pochi sprazzi di gioco aperto, le letture dei mediani di mischia, la meta di Marco Riccioni, ritornato titolare dopo l’infortunio al ginocchio, la grinta di Sebastian Negri, che prima placca Owen Farrell, poi gli mette le mani in faccia e ci si azzuffa perché il capitano inglese ha osato lamentarsi. Prendere e mettere in un ideale paniere di idee giuste, di atteggiamenti da conservare. Certo, in un quadro di aspetti positivi, bisogna mettere in conto le cose che non vanno, come l’attesa per capire come sta Michele Lamaro. Il capitano, uscito per infortunio al ventiquattresimo, è oggi un elemento imprescindibile del gruppo, un gruppo che deve affidarsi ai senatori e che, fortunatamente, dopo una settimana di stop, per la sfida con l’Irlanda ritroverà giocatori fondamentali, come Paolo Garbisi, il mediano d’apertura che potrà fare staffetta con Tommaso Allan e che anzi, nella formazione tipo, dovrebbe essere il titolare.
Ieri è mancata lucidità: ci sono stati errori nella gestione della palla, alimentati da una mischia chiusa che non ha lavorato bene come con la Francia. In sofferenza non ci si esprime bene, soprattutto se gli avversari non gestiscono mai il gioco sui trequarti, preferendo rimanere bloccati in un gioco che ricorda tanto il rugby di quarant’anni fa.
Dal canto loro, gli inglesi dovevano vincere, necessariamente. Per questo Steve Borthwick ha tenuto in panchina il genio esplosivo di Marcus Smith per 73 minuti, accantonando e relegando solo agli ultimi sette minuti di partita l’idea del doppio mediano d’apertura che era stata un’intuizione del suo predecessore Eddie Jones, ma che alla lunga è diventata la sua condanna. Per questo, soprattutto, Steve Borthwick ha pensato che fare un passo indietro in termini di qualità avrebbe potuto far fare un passo avanti in classifica. E così è stato.
Di fatto l’Italia non torna ridimensionata da Londra, anzi: capire cosa non va e mettere una pezza è necessario per crescere. Gli Azzurri hanno vinto contro Galles, Portogallo, Romania, Samoa e Australia nell’ultimo anno, ma fortunatamente la situazione attuale non è un punto di arrivo. La transizione passa doverosamente anche da mezzi passi incerti, ma ha con sé il grande vantaggio di tendere verso un obiettivo più grande. Non abbiamo mai battuto l’Inghilterra e, di conseguenza, non abbiamo mai vinto a Twickenham. Forse non è ancora il momento, forse non lo sarà presto. Ma arriverà il giorno in cui, dopo aver camminato tanto, dopo essere caduti e aver rimesso i piedi su strada, correremo.
Lì non ce ne sarà per nessuno. Ci vuole solo pazienza.
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