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All'Arsenal lo psicodramma è sempre dietro l'angolo
Che cosa non si fa per ignorare le sconfitte di Tottenham e Chelsea con Milan e Borussia in Champions League...
Maledizione, Arsenal. O maledizione Arsenal, mettetela come volete, ma non avevamo ancora finito di spippettarci sull’allievo che supera il maestro, presentando la bellezza del gioco di Arteta imparato e perfezionati alla scuola di Pep Guardiola, che il Manchester City ha ricordato ai Gunners chi comanda in Premier League. Ora le due squadre sono in testa a pari punti anche se ai londinesi manca una partita, ma come sempre quando si parla di Arsenal da un paio di decenni lo psicodramma è dietro l’angolo. Arteta dice che i ragazzi sono “molto motivati” per la corsa al titolo, ma Guardiola sa fin troppo bene che questo è il momento in cui a chi è stato davanti così a lungo e ora è stato raggiunto inizia a venire la paura di perdere. Sempre che nel frattempo, come in Italia con la Juventus, la giustizia sportiva non decida l’entrata a gamba tesa da dietro.
E a proposito di entrate da dietro, fatemi fare uno degli ultimi brindisi all’eterosessualità, dato che gli ultimi sviluppi l’hanno resa più superata del fuorigioco senza var. È una settimana che si sdilinquisce per il coming out di Jankto, uno che metà di voi pensava avesse già smesso e l’altra metà non conosceva neppure. A San Valentino gli account di gran parte dei club più importanti al mondo hanno celebrato l’amore gay con sciarpe arcobaleno e striscioni negli stadi, lì da voi la Juventus ha raccontato la bellezza dell’amore tra donne delle sue giocatrici (auguri alle compagne di squadra per quando le due avranno – si può dire? – le palle girate per le loro liti a casa: “Perché non me la passi? Che hai?”, “Niente”). Ora, va bene tutto, ma cosa c’entra tutto questo con il calcio? Mi dispiace, ma da questa parte del bancone del pub non ci faremo mai una ragione del fatto che lo sport più bello del mondo debba essere trattato come se fosse un editoriale del Guardian, una serata del festival di Sanremo o una lezione di educazione sessuale in una scuola della California: il suo compito educativo il calcio lo svolge mettendo i ragazzi sul campo, facendoli essere squadra, insegnando loro che si deve vincere e che si può perdere, non costringendo tutti a fare battaglie più o meno civili perché vanno di moda.
Preparatevi all’ondata di coming out, di reprimende ai tifosi che non applaudono dentro a stadi sostenibili mentre bevono birre analcoliche e mangiano hamburger vegani. E no, non sto parlando di questo per non parlare di come il Milan ha fatto a fette il Tottenham e il Borussia ha battuto il Chelsea (ci rifaremo al ritorno, of course, così come il Manchester United eliminerà gli isterici pagatori di arbitri blaugrana del Barcellona). È che sembra non si possa più parlare di calcio senza inciampare in storie di gay, lesbiche e trans. Giovedì sera le Nazionali femminili di Canada e Stati Uniti si sono sfidate nella imprescindibile SheBelieves Cup, e prima della partita hanno indossato al polso nastrini viola per l’uguaglianza di genere e un nastro bianco con scritto “Defend Trans Joy”. Ora io capisco dal loro punto di vista la battaglia per avere gli stipendi adeguati a quelli dei maschi – specie per Nazionali come quelle, che non vincono nulla e non si caga nessuno – ma difendere i maschi che, sentendosi donne, tra qualche anno pretenderanno pure di giocare al loro posto mi pare una follia. Io, in attesa di affondare nella mia bionda, mi preparo al weekend da urlo della Premier League. Finché c’è ancora.