pallone in tribunale
Tempestività, non certezze assolute. I guai della giustizia sportiva, spiegati da un giudice sportivo
C'è un problema nei tribunali sportivi. Così l'esigenza di "tempestività e speditezza", le regole formali che dovrebbero valere per ogni processo sono meno stringenti. Le parole di Mario Luigi Torsello, presidente della Corte d'appello della Figc, che ha condannato la Juve sulle plusvalenze
L'importante è fare in fretta. E pazienza se alla fine la giustizia sportiva rischia di diventare un po' come un terno al lotto. "Le certezze assolute rallentano", molto più importante è invece la "tempestività". È uno dei principi cardine dell'ordinamento sportivo: lo ha ribadito ieri Mario Luigi Torsello, nel corso di un intervento all'Università del Salento. Torsello di giustizia sportiva se ne intende, non è solo un professore ma anche un giudice, e che giudice. È il presidente della Corte d’Appello Federale, la stessa che ha comminato la recente sanzone di 15 punti alla Juventus, sul caso plusvalenze, andando oltre la richiesta di 9 punti avanzata dal procuratore Chinè.
"Dico innanzitutto che non voglio parlare nello specifico del caso delle plusvalenze. Parleremo a livello generale", ha esordito Torsello, prima di addentrarsi tra capisaldi e valori della giustizia nello sport. Parole che spiegano bene con quale metodo si giudichino i mali del pallone. La giustizia sportiva è autonoma, sottolinea il professore, come sancito dalla Corte costituzionale: "L’autonomia sarebbe quindi fondata sul principio di sussidiarietà evocata dalla costituzione. La sussidiarietà può abilitare i privati a essere fonte del diritto". Mentre tutti gli affiliati alla federazione "accettano la soggezione agli organi interni di giustizia" e lo fanno "come atto spontaneo di adesione alla comunità sportiva". E qui iniziano i problemi.
Perché, continua Torsello, "il codice di giustizia sportiva si adegua ai principi processuali generali, ma non come automatica trasposizione di questi istituti altrimenti perderebbe di peculiarità, come tempestività e speditezza coessenziali alla giustizia sportiva in quanto i processi devono essere veloci e immediati". In modo da garantire certezze a livello di risultati sportivi, dunque per il mercato degli atleti, nonché per i tifosi, è il ragionamento.
Nei fatti, tuttavia, la non automatica trasposizione può tradursi in una sorta di arbitraria selezione processuale: al di là di come la si pensi, e ne dà evidenza proprio la recente sentenza sulla Juve, il pericolo è quello di istruire procedimenti solo parziali, che attingono dalla dimensione ordinaria, penale, solo per alcuni aspetti. Cioè quelli disponibili nel momento in cui la giustizia sportiva si attiva. Nel caso delle plusvalenze, la procura federale ha riaperto il provvedimento sulla base delle prove prodotte dall'accusa del processo di Torino, che ancora deve inziare. Senza insomma che potesse valere in qualche modo la difesa, che invece in sede sportiva è stata relegata e ridotta a un paio d'ore d'arringa. Questione di tempestività, appunto.
"La certezza assoluta comporterebbe un rallentamento del procedimento sportivo, diversamente da quanto prevede il principio di tempestività. Il fine principale del giudice sportivo è quello di affermare i principi di lealtà e trasparenza e quindi gli organi devono considerare meno stringenti le regole formali rispetto a quelli sostanziali che incarnano questi valori". Come a dire, se non ci sono le norme specifiche, va bene l'interpretazione. È questa una delle principali perplessità segnalate dalla Juventus, la cui condanna non si è basata su parametri certi, quanto su un calcolo autonomo del collegio giudicante. E questo vale anche per l'entità della sanzione.
La spiegazione di tutto ciò sta, come ha illustrato Torsello agli studenti, nel fatto che "i nostri principi sono lealtà, probità e correttezza e al giudice va il potere di individuazione e punizione dei fatti in essere". Il professore l'ha definita come una sorta di "clausola in bianco" concessa ai giudici sportivi, che in fin dei conti, possono "configurare come violazione del principio di lealtà e correttezza una condotta che non risulta autonomamente come fattispecie di illecito disciplinare". Viene da sè allora, ed è una considerazione generale che va ben oltre i processi di questi mesi, la difficoltà per una società di calcio nel destreggiarsi tra le regole. Fin dove può arrivare la discrezione di un giudice? Quando un comportamento che fino al giorno prima era considerato lecito travalica la regola e può dunque essere sanzionato?
Domande che meriterrebero una risposta, e indicano nell'immediato l'urgenza di una riforma, troppe volte paventata e mai, almeno per ora, realmente discussa. Al giudice Torsello va senza dubbio il merito, con la sua lezione, di aver messo in luce i principali guai della giustizia sportiva, le storture che ne derivano. Di aver indicato dall'interno le debolezze di un sistema che per essere credibile deve essere rivisto. Il problemi del calcio passano anche da qui, da una giustizia che non funziona, risultando talvolta aleatoria e scoraggiando così investimenti e programmazione. Diversamente, ed è già accaduto, il rischio è quello di inviduare un colpevole, un capro espiatorio, e fare finta di aver risolto tutto. Mentre il pallone continua a sgonfiarsi.