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L'Inter vince una partita sporca. Il funerale del nostro calcio può ancora attendere

Giuseppe Pastore

Ai nerazzurri basta un gol di Lukaku nel finale per battere un Porto che ha provato a silenziare San Siro , giocando un calcio quietamente ostruzionistico.  Portare tre squadre ai quarti, e magari anche più in là, sembrava difficile. È di colpo diventata una missione possibile

La nebbia che respiro ormai/si dirada perché davanti a me/un sole quasi bianco sale ad est. Tra due settimane celebreremo gli 80 anni di Lucio Battisti e la luce dell'est è quella dello stadio Atatürk di Istanbul, che la sera del 10 giugno sarà acceso a tutto volume. Fino a due settimane fa immaginare un'italiana in finale di Champions sembrava una pazzia: eppure, eppure, eppure. Tre volte “eppure” per ribadire che il calcio ama rimescolare le proprie carte fino in fondo, e del resto anche quella volta che ne portammo tre in semifinale (primavera 2003) venivamo da un Mondiale asiatico sportivamente tragico, tra Byron Moreno e l'acquasanta di Trapattoni.

 

La cronaca ci impone di partire dalla fine: in fondo a una partita sporca, contro un avversario che ha provato a silenziare San Siro e lo stesso gioco del calcio con un atteggiamento quietamente ostruzionistico, l'Inter ha pescato un jolly tutto sommato meritato e ha onorato la logica aggiungendo un mattoncino al percorso netto nelle grandi partite del 2023: 1-0 al Napoli, 3-0 al Milan in Supercoppa, 1-0 all'Atalanta in Coppa Italia, 1-0 nel derby di campionato, e mettiamoci anche l'1-0 al Barcellona che a ottobre ha cambiato l'orizzonte della stagione.

Tutto molto prevedibile, visto che i cambi di Inzaghi sono ormai più scontati di Mattarella che la sera del 31 dicembre si rivolge ai giovani: Lukaku per Dzeko, Gosens per Dimarco (pure ammonito), Brozovic per Mkhitaryan. Ma anche tutto molto razionale, al confine del cerebrale: del resto la rosa è stata costruita così fin da agosto, per ordinati doppioni che non suscitino all'allenatore il minimo dubbietto di dover cambiare qualcosa tatticamente, nemmeno per vedere di nascosto l'effetto che fa.

Il 3-5-2 funziona anche a questo giro per l'attitudine di questi ottimi giocatori, quasi tutti sopra la sufficienza a eccezione delle due punte titolari a cominciare da Dzeko, che come l'anno scorso si avvicina alla primavera parzialmente stremato. La buona notizia è che Lukaku batte finalmente un colpo, e che colpo!, liberandosi dal carceriere Pepe dopo tanto penare e qualche movimento poco felice e venendo premiato dal rimpallo come non gli era quasi mai successo quest'anno, toccando abissi del grottesco come nel secondo tempo di Belgio-Croazia ai Mondiali.

 

La vittoria dell'Inter è episodica, passa attraverso un paio di grossi spaventi come il doppio riflesso di Onana in avvio di ripresa, ma non è affatto campata in aria. A lungo si è avuta l'impressione che Inzaghi e Conceiçao avrebbero potuto continuare ad annullarsi per duecentomila ore, ognuno con le sue armi: Simone con il passo cadenzato e noiosetto dei suoi esterni, Sergio con le improvvise fiammate dei suoi uomini migliori a interrompere il proprio calcio solo apparentemente camminato. Forse c'era un rigore da 50 e 50 su Darmian, ma troppo poco per gridare allo scandalo.

 

Nel gruppone delle squadre che amano mestare nel torbido e menare il torrone, il Porto è una di quelle che più sa stare al mondo e darà aspra battaglia anche al Dragao tra tre settimane. Innamoratissimi dell'idea di portare a casa lo 0-0, i portoghesi sono stati costretti a schiacciarsi dopo il doppio giallo a Otavio e la partita è scivolata sul piano preferito dall'Inter, perlomeno dall'Inter di ieri sera appesantita da un Lautaro in cattiva serata e costretta da un certo punto in avanti ad andar di calci piazzati e traversoni. Come forse avrete intuito da queste righe, Inter-Porto non è stata esattamente il Carnevale di Viareggio, ma era tutto ciò che ci si poteva aspettare davanti alle carte scoperte sul tavolo: il Porto, che si muoveva ai battiti del cuore del 40enne Pepe, aveva subito un solo gol nelle ultime otto partite e aveva (ha) una striscia aperta di quattro qualificazioni consecutive contro le italiane che avrebbe messo sull'attenti anche allenatori meno prudenti di Inzaghi.

 

Da questo primo giro di ottavi di finale, tutti a punteggi molto bassi a eccezione del massacro di Liverpool perpetrato dal Real Madrid, portiamo a casa una bella iniezione di autostima. Abbiamo ottenuto tre vittorie su tre, e a questo livello non era mai successo; non abbiamo subito gol, e a questo livello non era mai successo. Per i più cinici e smaliziati di voi potrà sembrare puerile l'utilizzo della prima persona plurale (“ma noi chi?”), eppure abbiamo un gran bisogno di rialzare sportivamente la testa, dopo lunghi mesi di cui in tutta Europa si è parlato del nostro calcio solo per vaticinare la data dei funerali.

 

Abbiamo scoperto che Porto, Eintracht Francoforte e Tottenham si sono rivelate più realiste del re e in tre partite hanno messo insieme solo un paio di occasioni da gol. Abbiamo andreottianamente notato che saremo anche di media statura, ma – Real Madrid a parte – non vediamo giganti intorno a noi. Il Napoli ci permette addirittura di andare in giro a testa alta e rimproverare l'intero continente su quanto siano stati ciechi, tutti quegli squadroni un po' in crisi che spendono soldi a pacchi, a non accorgersi mai del genio selvatico di Luciano Spalletti. Portare tre squadre ai quarti, e magari anche più in là, è di colpo diventata una missione possibile, anche se le due milanesi dovranno passare attraverso Colonne d'Ercole per nulla banali dal punto di vista fisico e psicologico: però su con la vita, non è forse vero che nei secoli dei secoli gestire il vantaggio è la nostra grande specialità?

 

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