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La passione degli americani per il rugby a 7

Alessandro Ferri

Nel fine settimana si gioca a Los Angeles la tappa americana delle World Rugby Seven Series. Un gioco seguitissimo negli Stati Uniti che invece ignorano quasi del tutto il rugby tradizionale. 

Il conto alla rovescia è quasi finito: nel fine settimana tra il 25 e il 26 febbraio, mentre in Europa i fan del rugby saranno con gli occhi rivolti al Sei Nazioni, Los Angeles accoglierà la tappa americana delle World Rugby Seven Series. Questa particolare contingenza tra uno dei trofei più antichi della storia dello sport e lo straordinario dinamismo della variante “a sette”, pone una riflessione interessante, che parte da una domanda: come mai gli americani seguono così tanto il Seven, mentre ignorano quasi del tutto il rugby tradizionale?

 

Partiamo dai dati oggettivi. Il rugby Seven è per l’appunto una variante del rugby tradizionale in cui si gioca in sette contro sette, su un campo grande come uno di rugby a quindici. Ovviamente, gestire gli spazi diventa fondamentale, specie in difesa.

 

Le partite durano 14 minuti, divisi in due tempi da 7. Le mischie e le rimesse laterali sono effettuate da soli tre giocatori per squadra. Tutto ciò rende il Seven uno sport molto dinamico, in cui prevalgono i giocatori esplosivi e forti fisicamente, ma anche uno sport molto più spettacolare e trasmissibile in televisione rispetto al rugby a cui siamo abituati tutti noi.

 

Questi sono principalmente i motivi per cui, a partire dai Giochi Olimpici di Rio De Janeiro del 2016, il Seven è diventato una disciplina che assegna medaglie. Un caso realmente unico: uno sport principale non è una disciplina olimpica, una sua variante sì. Come se si scegliesse di mantenere solo il futsal, o il basket 3, o il beach volley.

    

L’intero movimento mondiale del Seven è comunque sotto l’egida di World Rugby, che organizza ogni anno le World Series, una serie di tornei in giro per il mondo tra le migliori nazionali. Al termine della stagione, si sommano i punti della classifica e si decreta un vincitore. C’è poi la Coppa del Mondo di specialità, ogni quattro anni.

 

La geografia delle eccellenze del rugby Seven non è però identica a quella del più tradizionale, e diffuso, rugby a quindici. Nuova Zelanda, Sudafrica, Australia sono anche in questo mondo tra le più forti nazionali, ma accanto a loro non c’è la Francia, non c’è il Galles, non c’è l’Inghilterra, anzi. Al posto delle nazionali britanniche, da qualche anno c’è Team GB, la rappresentativa del Regno Unito, che è funzionale perché poi ogni quattro anni è proprio quest’ultima che disputerà i Giochi Olimpici. Le altre squadre forti sono Argentina, Samoa, Fiji (che hanno vinto entrambe le medaglie d’oro messe in palio, sia a Rio nel 2016 che a Tokyo nel 2021) e, per l’appunto, Stati Uniti.

   

Se volete davvero capire perché agli americani, gli stessi che hanno inventato la WWE e con essa il concetto di “sport entertainment”, piaccia così tanto il Seven, andate a vedere gli orari degli incontri della tappa di Los Angeles: si gioca alle (orario italiano,ndr.) 18.15, 18.37, 18.59, 19.21, 19.43, 20.05, 20.27 e così via fino alle 23.40. Quindici partite in cinque ore e venticinque minuti, una ogni 22 minuti. Una scorpacciata televisiva che raccoglie pubblicità, sponsorship, ma, soprattutto, mete.

 

Si racconta che durante i Mondiali di calcio del 1994, i tifosi americani sugli spalti fossero davvero pochi, perché erano quasi tutti a vedere le partite di futsal organizzate dalla Fifa come evento promozionale. Questo per due motivi: perché c’erano più gol e perché, soprattutto, nei palazzetti c’era l’aria condizionata, mentre negli stadi no. Una cosa più americana che mai, a testimonianza del fatto che spesso, negli Stati Uniti, lo sport supera il concetto di agonismo che abbiamo in Europa e prende un senso più globale, legato all’intrattenimento generale, più che a ciò che succede in campo. Un esempio. Lo scorso 8 febbraio, durante il terzo quarto della partita tra Lakers e Thunders, LeBron James ha superato il record assoluto di punti in Nba, che Kareem Abdul-Jabbar aveva stabilito nel 1989. Al momento del canestro, la partita si è fermata per celebrare James e per fare in modo che lo stesso Abdul-Jabbar lo premiasse. Foto, premio, sorrisi, coriandoli e via, si è ripresa la partita. In Europa una cosa del genere non sarebbe successa mai.

 

In definitiva, il Seven toglie spazio negli Stati Uniti al rugby tradizionale? Non proprio. Al contrario, è l’arma giusta per far scoprire al pubblico uno sport che non ha mai attecchito troppo. Del resto, Netflix sta girando un documentario sul Sei Nazioni proprio per vendere un prodotto a quel mercato, visto che i mondiali del 2031 saranno organizzati lì. Se nei prossimi otto anni vedrete una crescente ondata di entusiasmo verso il rugby in America non stupitevi, fa tutto parte del piano.

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