Foto Flanders classics

Il Foglio sportivo

Il suono del pavé. Inizia la stagione delle classiche del nord del ciclismo

Giovanni Battistuzzi

Dall'Omloop Het Nieuwsblad a Parigi-Roubaix, viaggio musicale-ciclistico nei quaranta giorni del classiche delle pietre.

Un tempo, quando le biciclette erano di acciaio, lassù tra le Fiandre, in quel mese e mezzo abbondante che valeva una stagione intera, era un concerto di suoni argentini. Tic, tin, ten, tec. L’acciaio ha il pregio della quasi eternità e quello dell’acutezza, della grazia acustica. Il carbonio ha altri pregi: è leggero, plasmabile a seconda delle esigenze aerodinamiche del momento. Lassù tra le Fiandre ha però fatto smarrire il suono di quelle corse. Suoni che per la verità si perdevano il giorno delle gare tra il vociare rumoroso e incessante delle folle enormi che si riversavano, si riversano, a bordo strada a ogni gara, più o meno celebre e celebrata, che si correva. Perché se è vero che per la Ronde, il Giro delle Fiandre, quei tredicimila chilometri quadrati di terreno tra l’Ysel e la Mosa, tra la Francia e i Paesi Bassi, si fermavano, si fermano, perché c’era, c’è, nulla di meglio della Ronde, anche per le altre corse la mobilitazione era ingente e donne, uomini e bambini a vedere le biciclette muoversi per le strade di Fiandra ce ne erano, ce ne sono, a iosa. Le persone portavano brusio, quello che copriva il tic, tin, ten, tec dei telai alle prese con le pietre. Serviva passare i giorni precedenti, quelli delle ricognizioni, o qualsiasi altro giorno, perché ogni giorno lassù è quello buono per affrontare il pavé.

  

Per il compositore e pianista belga Marcel Quinet il suono delle biciclette che scorrevano sulle pietre era “una fantasia musicale per violino e clavicembalo”, un tintinnare “che ricorda certi giri di tango argentino”.

 

Non c’è più quel suono. Il carbonio ha sostituito il tic, tin, ten, tec in un tuc, tun, ton, toc, decisamente meno allegro, ma tant’è. Nonostante questo, forse non se ne è accorto nessuno, il ciclismo non ha abbandonato le Fiandre, non può. Il richiamo è troppo grande, nonostante sia cambiato il suono delle bici.

 

Il mese e mezzo scarso che ha come epicentro la terra del pavé: quel territorio a maggioranza fiamminga, ma che sconfina, fregandosene bellamente di quello che gli uomini hanno voluto dividere, in Francia nell’Hauts-de-France. I quaranta giorni delle pietre iniziano oggi con l'Omloop Het Nieuwsblad, la fu Omloop van Vlaanderen – poi Omloop Het Volk –, la corsa che osò sfidare il Giro delle Fiandre.

 

Era il 1945 quando Jérôme Stevens, direttore dell’Het Volk, organizzò la prima Omloop. L’obbiettivo era quello di dare vita a una corsa che rappresentasse la vera essenza delle Fiandre, quella che a suo modo di vedere la Ronde van Vlaanderen non riusciva più a fare. C'era poco di sportivo però in tutto questo. Il vero problema era il suo rapporto con Karel van Wijnendaele, il papà del Giro delle Fiandre. Stevens era un socialista convinto, a van Wijnendaele gliene fregava poco o nulla della politica. Stevens vide chiudere l’Het Volk dagli occupanti nazisti, Karel van Wijnendaele aveva continuato a dirigere l’Het Nieuwsblad nonostante i nazisti e questo, per il primo, era sinonimo di collaborazionismo. Al secondo però i nazisti non piacevano, l’unica cosa che aveva in testa era  permettere alla Ronde di essere corsa. Ci riuscì. Anni dopo, nel 2008 e per sommo gusto della beffa, l’Het Nieuwsblad  si fuse con l’Het Volk e ora dopo Omloop c’è proprio il nome del quotidiano che fu di Karel van Wijnendaele.

 

L’Omloop è diventata una corsa piacevole, combattuta, spettacolare. Soprattutto il via della campagna del nord. Non è però riuscita minimamente a offuscare la Ronde, ancora oggi, quando si corre, una sorta di festa nazionale fiamminga non ufficiale. O forse ancor più ufficiale di tutte le altre feste comandate. 

 

L’Omloop Het Nieuwsblad è l’overture di un’opera musicale meno squillante, ma per modificato materiale di costruzione dei telai, sempre uguale e allo stesso tempo sempre diversa. Un’opera musicale che rende grazia al tipo di pavimentazione stradale meno aggraziata che ci sia. Perché le pietre del nord sono scomode, infide, crudeli. E proprio per questo fascinose, ammalianti, eccitanti. Basta passarci una volta sopra pedalando una bicicletta per capire che quello è un universo che nulla, o quasi, ha a che fare con quello che sino a quel momento avevamo conosciuto. E basta qualche pedalata per capire se si è fatti per tutto quello, oppure lo si detesta. Difficile restare indifferenti, quasi impossibile.

 

Il mondo del pavé parte dall’Omloop (sia per gli uomini che per le donne), passa per la Kuurne-Bruxelles-Kuurne, la più veloce e meno pietrosa delle corse al nord, terminerà il 9 aprile con la Paris-Roubaix.

 

Sempre pietre, ma diverse.

 

Per il compianto Lieuwe Westra, olandese innamorato delle Fiandre, il pavé del Fiandre era “armonioso e aspro”, quello della Roubaix, “disarmonico e spietato”: “Possono sembrare simili, ma a volte non c’è nulla di più diverso di ciò che a una prima impressione ci appare come simile”.

 

Nelle Fiandre il pavé è anche ascensionale, punta al cielo con i suoi angoli minerali esposti e quei piccoli e meno piccoli spazi di vuoto polvere e terra che li divide, tanto sensuali come un diastema che appare nel sorriso di certe donne.

 

La stagione del nord viene e va, ritorna sempre. E sempre è preda di quella voglia di essere lì a guardare le corse in mezzo a quella folla immensa, alimentata a salsicce e birre, e poi lasciare la banchina e provare a pedalare le stesse strade percorse dai corridori e bearsi della doccia minerale che le pietre ti riversano addosso, quasi a volerci accoglierci nel loro mondo. Un mondo scomodo, per questo irresistibile.