Foto Epa, via Ansa

Il Foglio sportivo

Il Milan adesso sogna uno stadio come New White Hart Lane

Giuseppe Pastore


Viaggio nel cuore dell'impianto del Tottenham, diventato il modello di riferimento per la futura casa della squadra rossonera

L’Overlook Hotel, l’albergo dell’orrore partorito dalla fantasia di Stephen King e messo in immagini da Stanley Kubrick, sorgeva su un vecchio cimitero indiano di cui aveva calpestato la tradizione: i rapporti non proprio amichevoli con i precedenti inquilini furono l’origine di ogni sciagura. Contemplare il Tottenham Stadium, impianto incredibilmente magnifico che sembra essere stato appoggiato da una mano aliena nel mezzo dell’ordinario squallore della periferia Nord di Londra, lascia il dubbio. Come il mare d’inverno della canzone di Loredana Berté, è un concetto che il pensiero non considera: soprattutto il pensiero italiano, abborracciato in un labirinto di giunte comunali, comitati residenziali, viceministri, consiglieri ambientalisti che non rappresentano altri che sé stessi.

 

Nella stessa epoca, da un’altra parte d’Europa, come un furibondo fast-forward ecco il Tottenham Stadium. Un biglietto da visita placcato in oro, necessario per un club che da anni è la barzelletta d’Inghilterra per le ragnatele del suo trophy cabinet: un edificio di cui i dipendenti del Tottenham amano ricordare con orgoglio il prezzo complessivo da oltre un miliardo di sterline. 

      

Vi si trova qualunque comfort vi possa venire in mente attorno a un evento sportivo, e anche di più, in uno stadio che rivaleggia per comodità e avvenirismo con le migliori arene della Nfl: non a caso è l’unico impianto europeo appositamente costruito secondo i canoni estetici della lega di football americano, a cominciare dai quattro megaschermi rettangolari all’altezza dei corner. Decine di ristoranti, un bancone di bar lungo 65 metri che corre parallelo alla linea di fondo, innumerevoli suite a uso, consumo e sollazzo di partner commerciali, miliardari e parvenu; un birrificio, una piattaforma per fare free climbing fino al tetto e prossimamente una pista di kart, come da accordo siglato con la Formula 1 per creare un’accademia di giovani piloti. Tutte cose che vanno oltre il terreno di gioco (peraltro retrattile), uno sfarzo che a più riprese supera il limite dell’ostentazione, come le poltroncine riscaldabili o il mega-iper-esclusivo Tunnel Club che ai commensali dà la possibilità di spiare da un vetro i giocatori pochi secondi prima che mettano piede in campo.
La nostra visita guidata al Tottenham Stadium è stata incoraggiata dal Milan che in questi mesi è piuttosto sensibile al tema: non è certo un caso che la nuova casa degli Spurs sia stata progettata dallo studio Populous, lo stesso della famosa “Cattedrale” che da parte milanista rappresentava il Piano A per il nuovo San Siro, al momento accantonato per concentrare gli sforzi sull’area dell’ippodromo La Maura. È un paradiso commerciale che abbraccia totalmente la rivoluzione della Premier League, lega globale che mira al denaro degli americani e dei turisti di Estremo e Medio Oriente, un pubblico occasionale cui vendere il grande sogno, l’experience, la narrazione dello stadio da vivere non solo quei trenta giorni all’anno in cui ci si gioca a pallone, ma anche due ore prima, due ore dopo, il giovedì notte, il lunedì mattina. Un divertimento potenzialmente infinito e sempre diverso. Ma non è certo divertente il Tottenham che ci mette cento minuti per creare una palla-gol contro il Milan. Uno stadio così bello, uno stadio così freddo, addirittura un frigorifero nel secondo tempo di Tottenham-Milan, dove il cliché del calcio inglese prevederebbe la bolgia per spingere gli Spurs alla rimonta: invece si sentivano solo quelli del settore ospiti.

 

Per questo lo splendido Tottenham Stadium racchiude una contraddizione tutta britannica: è uno stadio lanciato nel futuro alla velocità di una palla di cannone, senza troppo riguardo per tutto ciò che si è lasciato alle spalle. Il vecchio White Hart Lane vive nella pavimentazione del piano terra e in alcuni reperti da museo, come il vecchio dischetto del centrocampo su cui è applicata una placca dorata, ma non è più un cuore che batte. Lo stridore del contrasto tra vecchio e nuovo è simboleggiato dal quartiere che circonda lo stadio, tempestato di negozietti etnici, case di mattoni rossi e lampioni poco raccomandabili. Il club proclama che lo Stadium servirà anche a riqualificare la zona, a gentrificarla, a darle lustro e dignità portandoci i grandi brand tipo “Costa”, la catena di caffetteria che va per la maggiore nel Regno Unito: e non c’è dubbio che sia così, e che la stragrande maggioranza dei camerieri, dei cuochi, degli steward siano residenti nel quartiere. L’operazione è impeccabile da ogni punto di vista, in concerto con le istituzioni comunali per nulla interessate a intralciare un progetto del genere: la conferma che la Premier League non è soltanto un’enorme paccata di denaro proveniente da conti più o meno nebulosi, ma anche organizzazione, sistema, quei massimi princìpi di buon senso che confluiscono in una parola ancora più grande che le comprende tutte: politica.

 

Eppure, come gli indiani di Stephen King, la maledizione sopravvive. Al fischio finale di Tottenham-Milan, per la delusione l’astronave s’è svuotata in fretta. Cercando di scendere a patti con la frustrazione che li accompagna da tre generazioni, i passeggeri hanno abbandonato a testa bassa il sontuoso involucro che nelle ore notturne, esaltato dal buio pesto del quartiere, si staglia nella sua maestosa opulenza come il Titanic immaginato da Francesco De Gregori, “fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia, molecole d’acciaio, pistone, rabbia, guerra lampo e poesia”. Nonché – come direbbe un ex manager degli Spurs – zeru tituli.

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