Foto LaPresse  

Olive #26

Rolando Mandragora e gli specchi deformanti

Giovanni Battistuzzi

Il centrocampista della Fiorentina nelle ultime partite è tornato a essere il giocatore per il quale venivano a Genova osservatori da metà Europa, ma che solo sporadicamente si è visto a causa dell'inutilità dei paragoni e di qualche infortunio nei momenti sbagliati

Tra il 2013 e il 2015 erano arrivati in Italia a guardare le partite prima del Genoa primavera, poi del Genoa e del Pescara, capi osservatori, consulenti tecnici, viceallenatori, direttori sportivi da parecchie parti d’Europa. Pure Barcellona, Real Madrid, Manchester United e Arsenal avevano mosso pedine importanti del loro organigramma societario perché, si diceva, giocasse un ragazzino che meritava di essere visto, studiato, valutato. Non è cosa comune fare questo, lo si fa solo quando c’è un giocatore per cui vale davvero la pena investire qualche decina di migliaia di euro aggiuntivi ai contratti firmati con i cosiddetti scout. E Rolando Mandragora questo investimento, erano certi, lo valeva.

 

Erano quelli i tempi nei quali in Inghilterra si cercavano gli eredi di Steven Gerrard e Frank Lampard e in Spagna si iniziava a preoccuparsi del dopo Andreas Iniesta per non finire sguarniti com’era accaduto con Xavi. Nel calcio va spesso così: si cercano emuli dei grandi che si ritirano, nella convinzione, per altro sempre smentita dai fatti (con buona consapevolezza anche degli addetti ai lavori) che esista un modello standard di campione e che quindi debba per forza esserci qualcuno che possa sbocciare nel solco già fatto. Rolando Mandragora era uno che poteva andar bene sia agli inglesi che agli spagnoli per il semplice motivo che sapeva fare tutto quello che i centrocampisti forti sanno fare: aveva visione di gioco, aveva velocità e resistenza, un gran tocco di palla, sapeva tirare bene, sapeva pure difendere.

 

Rolando Mandragora però non andò all’estero, rimase in Italia. La Juventus fu la più lesta a trovare gli argomenti buoni con il Genoa (e il Pescara che aveva il giocatore in prestito con diritto di riscatto). E in Italia all’epoca era alle prese con il tentativo di trovare un sostituto ad Andrea Pirlo. I bianconeri erano convinti, pienamente convinti, che quel giocatore fosse proprio Rolando Mandragora.

 

Andrea Pirlo, parecchio (forse) suo malgrado, è stata la rovina per almeno una generazione di centrocampisti italiani. Non è stata colpa sua, questo è ovvio, ma di chi ha pensato che un giocatore non replicabile, unico, potesse essere replicato. Perché a una grandissima parte dei giovani centrocampisti nostrani dai piedi buoni e dall’ottima visione di gioco venne, in un modo o nell’altro, ficcata nella testa, molte volte a forza, l’idea che dovessero giocare alla maniera di Andrea Pirlo. O, quando questo non avveniva e il giovane calciatore cresceva libero da pregiudizi pallonari, arrivava qualcuno che lo piazzava davanti la difesa a dirigere il gioco, come se avere piedi buoni e un’ottima visione di gioco bastasse a fare un regista.

 

Rolando Mandragora è dal 2016 che gioca con addosso un abito pensato per un altro. Lui ha pure provato ad adattarsi, a sentirselo bene addosso, ma c’è mai riuscito davvero.

 

Ci sono stati dei momenti in questi anni nei quali sembrava davvero essersi abituato a vedere nello specchio un riflesso che non era il proprio, aveva dimostrato in campo, e per lunghi periodi, di essere quel giocatore che gli altri pensavano fosse. Poi qualcosa era sempre andato storto. Forse qualche scelta sbagliata, tipo la decisione di restare a Udine in prestito, di certo qualche infortunio di troppo e sempre nei momenti più importanti, come la frattura del metatarso nei primi mesi alla Juventus nel 2016 (rimase fuori sei mesi), o la rottura del legamento crociato subita nel 2020 a Udine che poi gli ridiede problemi nel corso della scorsa stagione a Torino, ne hanno rallentato il cammino, lo hanno marginalizzato dall’attenzione pubblica più di quanto le sue prestazioni in campo meritassero. Perché in questi anni Rolando Mandragora ha continuato a giocare bene, anche se un po’ sottotono.

   

Foto LaPresse
     

Ora alla Fiorentina Vincenzo Italiano gli sta dando più campo. Non tanto in minuti, quanto nella possibilità di aggredire spazi e palloni. L’allenatore della Viola ha per mesi cercato di trovare un sostituto a Lucas Torreira, il mediano che sembrava fatto su misura per il gioco del tecnico siciliano di Karlsruhe. Non lo ha mai trovato. E allora a un certo punto si è messo il cuore in pace, ha mutato la sua idea di calcio, l’ha adattata ai giocatori. Fu il Paròn Nereo Rocco a suggerire, suggerirsi, “se i giocatori non cambiano, cambia tu che fai prima”.

 

Rolando Mandragora si è ritrovato di colpo gettato in un’altra dimensione, ha rivisto allo specchio la sua immagine, ha ripreso il possesso di sé, del calcio che avrebbe voluto giocare, ma che non è quasi mai riuscito a giocare. È da un mese che la Fiorentina gioca come non ha mai giocato quest’anno. Non tutto il merito è di Rolando Mandragora, ma nel suo piccolo del suo, e questa volta davvero del suo, ce ne ha messo. Con la Cremonese ha segnato e concesso l’assistenza al gol dello 0-2. La speranza è che non sia l’ultimo.

     


     

Olive è la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Nella prima puntata si è parlato di Khvicha Kvaratskhelia (Napoli), nella seconda di Emil Audero (Sampdoria), nella terza di Boulaye Dia (Salernitana), nella quarta di Tommaso Baldanzi (Empoli), nella quinta di Marko Arnautovic (Bologna), nella sesta vi ha invece intrattenuto Gabriele Spangaro con Beto (Udinese), nella settima di Christian Gytkjær (Monza), nell'ottava Armand Laurienté (Sassuolo), nella nona Sergej Milinkovic-Savic (Lazio), nella decima Sandro Tonali (Milan), nell'undicesima Cyriel Dessers (Cremonese), nella dodicesima Tammy Abraham (Roma), nella tredicesima Stefano Sensi (Monza), nella quattordicesima Federico Baschirotto (Lecce), nella quindicesima Moise Kean (Juventus), nella diciasettesima Rasmus Hojlund (Atalanta); nella diciottesima M'Bala Nzola (Siena); nella diciannovesima Federico Dimarco (Inter); nella ventesima Cyril Ngonge (Hellas Verona); nella ventunesima Riccardo Saponara (Fiorentina); nella ventiduesima Perr Schuurs (Torino); nella ventitreesima Ola Solbakken (Roma); nella ventiquattresima Riccardo Orsolini (Bologna); nella venticinquesima Henrikh Mkhitaryan (Inter)