la parabola perfetta
Addio a Dick Fosbury, inventore geniale del salto in alto di schiena
Scomparso a 76 anni, è stato davvero un outsider. L'impresa più memorabile a México 68, insieme al pugno alzato di John Carlos e di Tommie Smith e al salto interminabile di Bob Beamon
Inventare una tecnica per conquistare il mondo, dai passaggi di palla dei Royal Engineers alla curva in dérapage di Tazio Nuvolari, dal mashie di Bobby Jones al rovescio a due mani di Bjorn Borg. Sono tanti gli atleti che hanno tratto un vantaggio competitivo da un nuovo modo di interpretare uno sport. Una piccola variazione, a volte ai limiti del regolamento e sempre all’insegna del think different. Un gesto decisivo, a volte impercettibile, più spesso rivoluzionario, certo nessuno così geniale quanto la tecnica immaginata e messa in pratica da Dick Fosbury.
L’inventore del salto in alto di schiena, scomparso a 76 anni, è stato davvero un outsider, una sorta di Glenn Gould dello sport. Mai e poi mai avrebbe potuto vincere qualcosa, troppo gracile per competere e troppo timido per imporsi. Soprattutto, quella era l’epoca dei grandi campioni sovietici, primo fra tutti Valerij Brumel che negli anni 60 aveva dominato la scena portando il record del mondo a 2,28. Potenza devastante e ginocchia d’acciaio, si saltava col ventrale fin dai tempi di Olimpia.
Poi un bel giorno poi arrivò Dick Fosbury. Non era certo un marziano e nemmeno un bobbista giamaicano, arrivava dall’Oregon e aveva un fisico più gracile dei suoi colleghi John Hartfield e Reynaldo Brown che infatti fin dai tempi del college gli sbarrarono la strada. Fosbury non si arrese. Mentre gli altri allenavano la forza esplosiva, lui si inventò la tecnica di schiena. “Mi sembrava così naturale e come tutte le buone idee e poi ti chiedi perché nessuno ci avesse pensato prima“. L’atterraggio in effetti era da spaccarsi l’osso del collo, quando Fosbury in una gara si incrinò due vertebre le autorità decisero di aumentare lo spessore dei materassi. Fosbury perfezionò la sua tecnica per cinque anni, quasi in solitudine, inseguendo il sogno della parabola perfetta. Con la schiena ben arcuata avrebbe superato l’asta pur col baricentro del corpo più basso della stessa. L’uovo di Colombo con cui Fosbury tentò il tutto per tutto.
Il banco di prova furono le Olimpiadi di Città del Messico, le uniche a cui mai partecipò. In una gara infinita che durò più di quattro ore, sfida di nervi contro Ed Caruthers e Valentin Gavrilov, al terzo salto Dick Fosbury arrivò a 2,24. Era salito più in alto di tutti e contro ogni pronostico prevalse. Fu l’impresa più memorabile di México 68, insieme al pugno alzato di John Carlos e di Tommie Smith e al salto interminabile di Bob Beamon, seconda solo al logo disegnato da Lance Wyman, colpo di genio davvero inarrivabile.
Con quel salto Fosbury si prese la medaglia d’oro e fu il suo primo ed ultimo successo. “Fu molto stancante, cambiò la mia vita, mi misero su un piedistallo ma non era il posto in cui volevo essere”. Il suo successo lo decretò la storia. Il Fosbury Flop divenne una tecnica sempre più diffusa e un’espressione comune. Esempio di come, cambiando le regole del gioco, si possono raggiungere nuovi traguardi. Quelli a cui lavora un gruppo di giovani architetti che non a caso ha scelto di chiamarsi Fosbury Architecture. Rappresenteranno l’Italia alla prossima Biennale Architettura e sarà un padiglione alla scoperta dei cantieri più interessanti della penisola. Solo progetti concreti, perché non basta una trovata per raggiungere la cima, perché ciascuna disciplina è questione di inventiva e continuità.
Anche lo stile Fosbury ebbe bisogno di perseveranza, ci vollero anni perché diventasse la tecnica più diffusa, meno rischi per le ginocchia e una spinta maggiore verso l’alto. Nel giro di dieci anni quasi tutti saltavano di schiena salvo alcuni interpreti ancorati al passato come Volodymyr Yashchenko, ucraino di Zaporizhzhia che il 12 marzo 1978 a Milano, esattamente 45 anni prima della scomparsa di Fosbury, portò il record a 2,35 che è tuttora il valore più alto in assoluto tra i ventrali. Dieci centimetri in meno del 2,45 di Javier Sotomayor a Salamanca nel 1993, salto inimitabile del Principe de las Alturas il cui primato resiste da trent’anni. Esempio unico di longevità in una disciplina tra le più primordiali mai inventate, dove la tecnica conta più della potenza e il pensiero conta più dell’azione. Immaginare un salto e saperlo realizzare, alla ricerca della parabola perfetta, sogno impossibile di molti grandi atleti del passato e splendida epifania di quel gran genio di Dick Fosbury.