Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA
Il paradosso di Simone Inzaghi
Nessuno nega che il mister dell'Inter abbia commesso errori, diciotto punti dal Napoli sono troppi, ma non si può chiedere a un cristiano di essere musulmano, a un pittore di dipingere il vuoto. E a un allenatore di trasformarsi in Antonio Conte
Chissà che cosa sarà di lui, uscito indenne dal processo. Simone Inzaghi è uno dei tanti allenatori sopravvissuti alla tempesta anche ideologica che si scatena ogni volta che i risultati non arrivano. Tifosi, espertoni vari e, quel che è peggio, dirigenti, cominciano a mettere in dubbio comportamenti e filosofie, e al “povero” mister non rimane che cominciare a fare le valigie. A meno che non vinca la partita successiva e poi quella dopo e quella dopo ancora.
Inzaghi, battendo il Porto e raggiungendo i quarti di finale di Champions, ha svuotato la sua Vuitton (se è una Gucci mi scuso). Ma quanto durerà? L’allenatore dell’Inter è un tipo molto tranquillo, non alza mai la voce, risponde civilmente a tutti e pensa solo a lavorare. Insomma un tipo serio, senza troppi grilli per la testa e privo di una certa malizia. L’aziendalismo è una delle sue inclinazioni, scambiata per debolezza da chi, in un certo senso, dovrebbe magari ringraziarlo solo per questo. Sono ancora vicini i tempi in cui Antonio Conte, a ogni partita persa, vinta o pareggiata, poco importava il risultato, si presentava davanti alle telecamere criticando la stessa società che a fine mese, come unica risposta, gli consegnava uno stipendio che definire da nababbo non è sbagliato (forse i nababbi guadagnano un filo meno). Per non parlare di qualche brillante di scuse, giusto per abbassare il tono delle parole del leccese, come una costosa campagna acquisti impreziosita, si fa per dire, da un inutile Vidal.
L’epilogo lo conosciamo bene. Conte, da grande allenatore quale è, vince lo scudetto, poi saluta con tanto di ricca buonuscita nonostante un contratto firmato dalle parti. L’Inter sceglie Inzaghi per riportare normalità in un ambiente piuttosto stressato. Lo dicono gli stessi dirigenti nerazzurri più o meno off record. E qui sta la contraddizione, in quanto a Inzaghi, progressivamente, viene imputato il fatto di essere troppo buono. Tanto che lo stesso allenatore, forse per la prima volta nella vita, perde la pazienza e si trova costretto a puntualizzare: non prendetemi per scemo, perché scemo non sono. In sintesi e parafrasando. Nessuno nega che Simone Inzaghi come allenatore (e come tutti noi poveri mortali) abbia dei difetti. Nessuno nega che abbia commesso degli errori, perché diciotto punti dal Napoli sono troppi, ma non si può chiedere a un cristiano di essere mussulmano, a un pittore di dipingere il vuoto, a un poeta di cambiare le parole. E a un allenatore, piccolo paradosso, di trasformarsi in Antonio Conte.