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Il Foglio sportivo

La dolce noia della Milano-Sanremo alla prova Pogacar 

Giovanni Battistuzzi

La Classicissima è una lunga attesa per qualcosa che potrebbe non arrivare. E sa fregarsene di tutto questo

Esiste un gran numero di persone che non capisce e capirà mai il perché un altro gran numero di persone provi piacere a vedere le corse in bicicletta. Non lo fanno per cattiveria o per sdegno rispetto a questi ultimi, ma perché davvero non lo riescono a comprendere. La visione dello sport in tivù è qualcosa che implica un’azione in qualche modo violenta, fatta di picchi abbastanza ravvicinati di “cose che succedono” e di abbastanza immediata comprensione. Davanti al basket o al taekwondo, magari anche a digiuno di conoscenza delle regole, si può essere rapiti da quanto si sta osservando. Di “cose che succedono” ce ne sono parecchie e di facile individuazione.

 

Nel ciclismo non è così. Nel ciclismo esiste il principio di attesa. Si attendono quei momenti nei quali ci sono “cose che succedono” ma non si sa se arriveranno davvero. Lo si spera. E anche quando si materializzano di solito si stabilizzano, i picchi non sono (quasi mai) ravvicinati, c’è sempre un tempo di riflessione, di acquietamento. Tutto ciò, a seconda di chi guarda, può essere meraviglioso, la stessa essenza del ciclismo, ciò che lo rende uno sport eccezionale, oppure la rappresentazione sportiva della noia.

 

Ultimamente le corse si sono fatte più accese, i picchi si sono ravvicinati, gli attacchi hanno allungato il raggio di azione e controllare una corsa, anestetizzarla, è più complicato, non sempre ci si riesce. E così i copioni si sono arricchiti e, spesso, i percorsi sono mutati per agevolare tutto questo. Anche quelli delle corse di un giorno più importanti e prestigiose. Non la Milano-Sanremo (che si corre oggi, il giorno prima di San Giuseppe, che fu, e a lungo, il giorno della Classicissima). Perché la Milano-Sanremo non sa, non può, non deve cambiare. È l’eccezione che non ha bisogno del mutamento. È il trionfo dell’attesa, di quel procrastinare e condensare in pochi, pochissimi chilometri, le “cose che succedono”.

 

È italianissima la Milano-Sanremo, lo è perché, come in Italia spesso accade, ciò che c’è da fare lo si mette da parte, lo si procrastina. Può esistere altrove un decreto Milleproroghe? Nella maggior parte dei paesi europei non sarebbe nemmeno immaginabile, in Italia c’è dal 2005, è stato istituzionalizzato.

 

La Milano-Sanremo è una lunga attesa, per quei pochi chilometri prima all’insù e poi all’ingiù, il Poggio, che possono decidere tutto oppure non decidere niente. Lo si saprà solo all’arrivo.

 

Il giudizio del Poggio non è mai davvero definitivo, ha un appello, la discesa, e una cassazione, quei duemila metri di piano che conducono al traguardo. A volte solo a pochi centimetri dalla linea d’arrivo. C’è nulla di più impronosticabile nel ciclismo della Milano-Sanremo.

 

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La Classicissima accoglie tutto, tutti, chiunque abbia voglia, e gambe, di adeguarsi a lei. Di accettarne i chilometri che sembrano infiniti, duecentonovantaquattro, la mattinata padana, il pomeriggio in Riviera, la tensione continua che logora i nervi e quindi le gambe, l’assenza di pendenze cattive dove poter fare selezione, la necessità di usare la fantasia, l’improvvisazione, per evitare di ritrovarsi troppi velocisti tra le ruote. Soprattutto di accettare di avere pazienza, di trovare l’attimo giusto, quello buono per sparigliare un racconto che a volte sembra procedere stanco, ma è solo suspance. Un’attesa che si cerca, che si vuole. Un’attesa che forse per qualcuno fa rima con noia, ma è una noia dolce come il sole di marzo sul mare della Liguria.

 

Un’attesa alla quale si dovrà adeguare anche chi è abituato a fare di testa propria, soprattutto di gambe proprie. Gente come Tadej Pogacar, Wout van Aert, Mathieu van der Poel, Julian Alaphilippe.

 

Soprattutto Tadej Pogacar, che quest’anno ha dimostrato di andare forte, fortissimo, ma non è una novità, e che si presenterà al via di Abbiategrasso – sì quest’anno la Sanremo parte da Abbiategrasso perché il giorno dopo a Milano c’è la Stramilano, un peccato che centosedici anni di storia debbano sottostare a priorità cittadine – con la volontà, già parecchio sbandierata, di prendersi una corsa che non dovrebbe essere, almeno sulla carta, adatta a lui.

 

La Sanremo però ha la facoltà, forse il potere, di fregarsene di ciò che la carta dice, di stracciare con nonchalance i pronostici. Sono sempre noiosi e banali i pronostici. Di escludere dall’albo d’oro corridori che non potevano non vincerla, come Peter Sagan o Tom Boonen, e accoglierne altri del tutto inaspettati: Matthew Goss o Gerarld Ciolek. O Vincenzo Nibali che in Riviera ha colto la sua più impronosticabile vittoria. Forse, proprio per questo, la più bella.

 

Tadej Pogacar desidera, sogna, vuole, essere il prossimo nome di quella lista. Lo vuole come lo sognano altri, tutti. Perché non costa niente sognare, perché in fondo alle lunghe attese, quelle che possono essere anche scambiate per noia, esiste sempre la speranza che nulla possa andare alla maniera nella quale dovrebbe andare. Basta votarsi al santo giusto. O anzi no, basta votarsi a nessun santo, San Remo non esiste, va tutto attaccato, tutto filato come il sospiro che si deve prendere a salire verso la cima del Poggio, staccare tutti, gettarsi a bomba in discesa e provare a non essere presi.

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