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Olive #27

La missione di Zlatan Ibrahimovic

Giovanni Battistuzzi

Lo svedese segnando a Udine è diventato il giocatore più vecchio ad aver segnato in Serie A. Aveva detto che si sarebbe ritirato giovane, a oltre 41 anni è ancora in campo. La sua volontà di zlatanizzare il calcio non si è ancora esaurita

Se c’era un giocatore che non avremmo detto possibile potesse invecchiare in campo, quel giocatore era Zlatan Ibrahimovic. Perché, almeno quasi due decenni fa, Zlatan Ibrahimovic è stato soprattutto un’apparizione, qualcosa che prima che mettesse piede in campo non c’era, e che poi ha avuto più emuli che delfini. Un giocatore che ha scombussolato il gioco e soprattutto l’immaginario calcistico. E i giocatori del genere di solito fanno in modo di levarsi dalle scatole abbastanza presto, prima di offrire la loro versione “normale”.

 

O almeno così era un tempo. Perché negli ultimi anni tutto si è allungato e dilatato e un modo per tirarla ancora un po’ più lunga lo si trova sempre. Anche in campionati prestigiosi o che prestigiosi sono stati.

 

Zlatan Ibrahimovic non si è ritirato presto. Ha fatto finta di salutare, di chiudere la carriera in America, un modo, nemmeno troppo velato, di ampliare a dismisura la Zlatanmania, ossia la personalissima missione di zlatanizzare il mondo del calcio, renderlo il più possibile a sua immagine e somiglianza.

 

È questa sua tendenza alla “missione”, alla evangelizzazione calcistica – a sua immagine e somiglianza – che lo ha dissuaso dall’intento, anch’esso un po’ spaccone, giovanile. “Mi sento il giocatore più forte al mondo. Se non lo pensi non riesci a giocare al cento per cento. Per me essere secondo non esiste. Giocherò ancora per tre anni al massimo, perché bisogna smettere quando sei al top”, aveva detto nel 2010. Era appena arrivato al Milan, era convinto di poter vincere con i rossoneri lo scudetto (ci riuscì) e la Champions League in tre anni. Non tutto andò come aveva previsto. Tre anni dopo era a Parigi per “regalare a Parigi quello che non ha mai visto in città”.

  

Tredici anni dopo aver pronunciato queste parole Zlatan Ibrahimovic si danna ancora in allenamento, s’è ripreso dall’ennesimo infortunio, ha segnato un rigore contro l’Udinese che lo ha fatto entrare nella storia della Serie A: a 41 anni, 5 mesi e 5 giorni è il giocatore più vecchio ad aver fatto un gol nel campionato italiano. Sino a sabato questo primato era di Alessandro Costacurta: 41 anni e 25 giorni.

   

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Il Milan ha deciso di utilizzare con Zlatan Ibrahimovic l’antica accortezza, ormai per la verità in disuso, di lasciare al proprio campione l’ultima parola in fatto di ritiro. Lui ha deciso di continuare, forse proseguirà ulteriormente – sta valutando –, senz’altro non si sta risparmiando. Non che l’abbia mai fatto, ma da quando si sentiva “il giocatore più forte del mondo” a oggi, lo svedese ha dimostrato di mettere da parte l’idea parecchio romantica che il talento naturale e il genio calcistico bastassero a loro stessi e ha preso la via di un professionismo razionalista. E nel suo caso, parecchio positivista.

  

Zlatan Ibrahimovic non è più il calciatore che è entrato a gamba tesa nel calcio mondiale e nella Serie A. C’è più niente di quel giocatore se non un nome stampato sul retro di una maglietta. Non c’è in campo, dove la sua abilità di essere un centro gravitazionale che si muoveva per tutto l’arco offensivo e accentrava su di sé tutte le attenzioni e le energie nervose avversarie, s’è parecchio affievolita; non c’è fuori dal campo, dove le sue simpatie potevano stravolgere ciò che un calciatore era stato sino a quel momento. Non tutto è sparito. Tutto però si è evoluto, è diventato più complicato e di difficile lettura.

  

Zlatan Ibrahimovic in campo si è trasformato in perno. I suoi movimenti si sono ristretti, così come i campi gravitazionali, ma riesce in ogni modo a determinare, con la sua presenza, gli spazi. Ma per riuscire in questo deve essere in perfetto stato di forma, e ormai è sempre più raro.

  

Ed è perno anche fuori dal campo. Anche se gli anni e le esperienze lo hanno fatto diventare più lo zio saggio, quello che sa leggere le cose della vita e darti l’indicazione più adeguata, che il leader magnetico capace di cambiare le sorti dei compagni. La sua zlatanizzazione del calcio non ha creato figli, forse è anzi fallita nel claudicare di questo ultimo Milan di Stefano Pioli. Eppure non è stata inutile. Qualcosa si sta muovendo nonostante le difficoltà. Theo Hernandez era arrivato bullo ed è diventato giocatore; Davide Calabria era un timido, si è fatto capo; Sandro Tonali era un ragazzino che faceva fatica a capire di essere davvero al Milan, tutto eccitato com’era di vivere il suo sogno, ora mena e cuce in mezzo al campo. Certo è mancato il grande colpo, staccare Rafael Leao dal suo meraviglioso mondo immaginario e farlo vivere stabilmente sul campo di gioco. Sembra impossibile, ma non è detto che non ci riesca.

 

E poi c'è ancora una Champions League (coppa che non ha mai vinto) da terminare il più avanti possibile.

  


 

Olive è la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Nella prima puntata si è parlato di Khvicha Kvaratskhelia (Napoli), nella seconda di Emil Audero (Sampdoria), nella terza di Boulaye Dia (Salernitana), nella quarta di Tommaso Baldanzi (Empoli), nella quinta di Marko Arnautovic (Bologna), nella sesta vi ha invece intrattenuto Gabriele Spangaro con Beto (Udinese), nella settima di Christian Gytkjær (Monza), nell'ottava Armand Laurienté (Sassuolo), nella nona Sergej Milinkovic-Savic (Lazio), nella decima Sandro Tonali (Milan), nell'undicesima Cyriel Dessers (Cremonese), nella dodicesima Tammy Abraham (Roma), nella tredicesima Stefano Sensi (Monza), nella quattordicesima Federico Baschirotto (Lecce), nella quindicesima Moise Kean (Juventus), nella diciasettesima Rasmus Hojlund (Atalanta); nella diciottesima M'Bala Nzola (Siena); nella diciannovesima Federico Dimarco (Inter); nella ventesima Cyril Ngonge (Hellas Verona); nella ventunesima Riccardo Saponara (Fiorentina); nella ventiduesima Perr Schuurs (Torino); nella ventitreesima Ola Solbakken (Roma); nella ventiquattresima Riccardo Orsolini (Bologna); nella venticinquesima Henrikh Mkhitaryan (Inter); nella vetiseiesima Rolando Mandragora (Fiorentina);  

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