Onnis, il bomber snobbato dall'Italia che in Francia segnava più di Platini
Da Giuliano di Roma ai 299 gol segnati nel campionato francese passando per l'Argentina. E mai nemmeno la possibilità di giocare e segnare in Serie A
Partire dalla Ciociaria per arrivare a scrivere la storia del calcio francese. Crescere in Argentina, ma rimanere per sempre e solo italiano: “Non ho mai avuto un altro passaporto”. Il passaporto sì, ma la Nazionale mai, nonostante i 299 gol segnati in carriera nell’attuale Ligue1. Nessuno ne ha realizzati di più: “C’erano dei mostri come Riva e Rivera, per me non c’era spazio anche se mi sarebbe piaciuto molto”.
Delio Onnis si è trasferito con la famiglia nel 1950 in Argentina da Giuliano di Roma, paesino in provincia di Frosinone con poco più di 2mila anime. Aveva appena due anni. “Non ho ricordi della mia vita italiana”. Eppure la lingua la capisce e mastica, sebbene non possa essere fluida come lo spagnolo. “Gli argentini trattavano in maniera molto dispregiativa gli spagnoli e gli italiani. Noi eravamo i 'morti di fame', gli spagnoli i 'grezzi e ignoranti'. Ci chiamavano così, è stato un periodo molto difficile per gli immigrati. Dopotutto lo eravamo davvero, reduci dalla guerra e con diversi problemi, per questo siamo andati via. In Argentina si viveva molto bene, adesso è tutto cambiato, la merda ora è qui”. Già, perché nonostante l’accoglienza poco calorosa, Onnis oggi trascorre ancora diverso tempo nel paese in cui è cresciuto e ha iniziato a costruire il suo futuro, facendosi conoscere come “El Tano”, l’italiano che segnava molti gol nelle giovanili dell’Almagro, quartiere di Buenos Aires, e poi nel Gimnasia La Plata.
La sua vita però la trascorre quasi interamente a Montecarlo, dove la sua fama da calciatore lo precede. A portarlo in Francia fu lo Stade Reims nel 1971: un biennio preparatorio al trasferimento nel Principato. Lì gioca per sette anni, provando l’onta di una retrocessione, ma vincendo anche un campionato, una Coppa di Francia e affermandosi come uno dei due migliori bomber del decennio. L’altro è una futura conoscenza del calcio italiano, seppur con veste diversa, Carlos Bianchi. Si dividono equamente i titoli di capocannoniere per un decennio, dal 1974 al 1984, cinque ciascuno: “Era una rivalità sana, ho giocato con lui al Reims sei mesi, poi sono andato al Monaco. In quegli anni in Francia c’era anche un tale Platini e tutti gli chiedevano come mai non fosse mai stato capocannoniere nonostante fosse così forte e lui rispondeva sorridendo: 'Eh beh…ci sono quei due mostri di Onnis e Bianchi, non posso esserlo io', ed è andato via dalla Francia senza mai vincere la classifica marcatori”.
In Serie A ci riuscì invece tre volte di fila. Quella Serie A che non mai ha dato una possibilità a Onnis: “Ai miei tempi non c’erano i procuratori, ti contattavano direttamente e con me non lo ha mai fatto nessuno. Una volta però Helenio Herrera era venuto per vedermi giocare in Corsica, a Bastia. Sfortunatamente quella notte andò via la luce dallo stadio e sospesero la partita. Da quel giorno in poi non ho più avuto possibilità di giocare in Italia”. Insomma, non è mai scattata la scintilla nonostante i gol e una cittadinanza che nel periodo di chiusura delle frontiere, con il divieto di acquisto di giocatori stranieri, gli avrebbe consentito di arrivare, anzi, tornare in Italia senza problemi e di poter ambire alla maglia azzurra, l’unica possibile per lui: “Avendo avuto sempre e solo il passaporto italiano, nemmeno l’Argentina poteva convocarmi”.
Può aver pesato il pregiudizio di giocare in un campionato ancora lontano, a suo tempo, dall’eccellenza calcistica: “Dalla seconda metà degli anni Settanta il livello si è alzato molto in Francia con l’esplosione dei vari Platini, Giresse, Tigana, giocatori che hanno composto l’ossatura della squadra campione d’Europa nel 1986. Ho giocato contro tutti loro”. Dopo il Monaco, con il Tours e il Tolone: ogni volta ceduto con la sensazione che il declino fosse evidente, prima di riuscire a rivincere ancora il titolo di capocannoniere con ogni maglia indossata. Divenne “Monsieur 300 buts”, anche se ironia ha voluto che il conto dei suoi gol in Ligue1 si fermasse nel 1986 a 299, una cifra comunque sufficiente a non preoccuparsi di potenziali aspiranti al suo trono, Mbappé permettendo.
In Francia ha trovato la fama calcistica che Italia e Argentina non gli hanno mai riconosciuto, ma non solo: “Sono in Francia dal ‘71, i miei figli sono francesi e viviamo a Montecarlo. Auspicavo Argentina-Francia in finale al Mondiale, ma alla fine loro erano molto arrabbiati. Ci siamo consolati con il fatto che Messi meritasse questo trionfo”. Eppure Delio Onnis conserva ancora la gratitudine per quel Paese che non ha mai vissuto e lo ha ignorato professionalmente: “Certo che mi sento italiano, sono le mie radici e non si dimenticano. Ma ciò non mi impedisce di essere sia argentino che francese e monegasco, non mi vergogno a dirlo. Sono poi tornato sia a Frosinone che a Roma, dove si trovano tanti miei familiari”. Le sue origini non le ha affatto dimenticate: “Nel cuore tifo il Frosinone, il posto in cui sono nato. Ho visto che in Serie B è primo con molto vantaggio, come il Napoli in Serie A. Mi auguro che ce la faccia a salire”.
Il Foglio sportivo