il Foglio sportivo
L'insostenibile pesantezza di essere Antonio Conte
Viaggio nei pensieri di un uomo impaziente che sa allenare solo a modo suo e non è riuscito a risvegliare il Tottenham
Antonio Conte ha una caratteristica che accomuna le teste veloci: l’impazienza. Se in una situazione non ha le risposte che vorrebbe, non ci sa stare. Se i valori e la fame non sono condivisi, scalcia. E così sabato scorso, dopo la rimonta subita da 3-1 a 3-3 dal Southampton ultimo in classifica, è sbottato. Covava da tempo e non ha retto più. Ma che cosa c’è dietro a questo comportamento?
Il Tottenham è sotto la presidenza di Daniel Levy da 22 anni e ha vinto solo una Coppa di Lega inglese nel 2007-2008. Nient’altro. Persino nell’anno in cui tutte le grandi inglesi hanno mollato, si è fatto scippare il titolo dal favoloso Leicester. Insomma: i conti non tornano, la copertina è diversa dall’album. Il Tottenham ha un centro d’allenamento nuovo sfavillante e lo stadio di calcio probabilmente più bello al mondo, ma un solo trofeo in bacheca in 22 anni. La comfort zone che si è creata è quella di una squadra a cui va bene entrare nelle top 4, ma non ha una smania ulteriore. È evidentemente un mood difficile da smuovere. La società non spinge, i giocatori si sentono legittimati a deresponsabilizzarsi.
Antonio Conte, sabato scorso, ci ha messo la faccia e si è ribellato a questa comfort zone. Certo: non aiuta avere un allenatore in scadenza di contratto. È come se in un luogo di lavoro sai che da lì a breve il tuo capo se ne andrà. Il rischio di mollare più o meno coscientemente è dietro l’angolo. Ma Conte non le vive così le cose. Indipendentemente dal futuro vuole vincere sempre nel presente, ottenere il massimo dalla squadra e alzare l’asticella futura. Si nutre di obiettivi e dell’essere un capo-popolo seguito. È energia vitale per lui. Se manca una di queste due componenti, coltello tra i denti e idea di sviluppo futuro, emerge quella sua caratteristica che ha già bussato in passato, in altre squadre, e non si è mai addomesticata nel tempo: l’impazienza. Ed essendo un contagioso naturale rischia di esserlo in negativo sul gruppo.
Era subentrato lo scorso anno con gli Spurs ottavi in classifica e li ha riportati in Champions League. Era una sfida un po’ strana per lui e le sue ambizioni. Era in dubbio se rimanere o no, aveva scelto per la prima opzione perché il gruppo gli aveva dato tanto. Ci vedeva un possibile percorso. Quest’anno è di nuovo nelle top four, a 1 punto dalla terza, nel campionato più competitivo del mondo. È arrivato agli ottavi di Champions League, eliminato dal Milan.
I grandi vanno avanti con i “nonostante”, non li usano come scusa. Per lui è stato un anno duro, con la perdita di due amici strettissimi come Luca Vialli e Gian Piero Ventrone, oltre a quella di un collega vicino come Sinisa Mihajlovic, un anno lontano dalla famiglia e con un problema che lo ha costretto all’operazione d’urgenza alla cistifellea e a esiliarsi dal gruppo per un mese. In quel mese, il Tottenham è uscito malamente dalla Fa Cup contro lo Sheffield United, squadra di seconda serie (con 8 titolari in campo, per cui il messaggio sull’importanza della coppa era chiaro), e qualche meccanismo si è allentato all’interno della squadra. Il capo lontano ha fatto diminuire il grado di attenzione dei suoi.
Poi Conte non ha ovviamente apprezzato l’uscita di Richarlison che si era lamentato dello scarso impiego, ma in realtà è da tempo in carenti condizioni fisiche, con un problema al pube, tanto che nell’ultima partita è durato solo tre minuti e poi ha dovuto lasciare il campo. Troppi giocatori stanno rendendo sotto le aspettative e tra questi c’è anche Perisic. Conte, come Mourinho prima, non è riuscito a smuovere il club da una comfort zone che è quasi insita nel dna. Lui vuole vivere uno status diverso, da vincente. È quel che si sente, è come si percepisce, giusto o sbagliato che sia. Per cui se le condizioni sono queste non riesce a starci. Antonio Conte è così, prendere o lasciare, irrequieto, impaziente, bisognoso di pensare senza limiti, di chiedere il massimo ed essere sé stesso. Lo è stato con quello sfogo, consapevole di quel che gli può costare. Pazienza.