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Nba

Sicuri che il tramonto dei Golden State Warriors sia già iniziato?

Andrea Lamperti

L’annata della franchigia di San Francisco è iniziata col piede sbagliato e non è mai arrivata, finora, a un punto di svolta. Ma ci sono cinque indizi, cinque punti di forza, che potrebbero ribaltare quanto successo fino a qui

I playoff 2022 ci avevano lasciato un insieme di granitiche certezze, quelle dimostrate sul campo dai soliti Golden State Warriors di Stephen Curry, Klay Thompson, Draymond Green e Steve Kerr. Forza, coesione, solidità, identità e, come dicono oltreoceano, championship dna: cinque tratti distintivi della dinastia che ha dominato l’ultima decade, raggiungendo le Finals sei volte in otto stagioni.

Nove mesi più tardi, buona parte di quelle sicurezze sembrano oggi svanite. L’annata di Golden State è iniziata col piede sbagliato e non è mai arrivata, finora, a un punto di svolta, come certifica la classifica della Western Conference, giunta alla volata finale. L’attuale sesto posto è l’ultimo valido per un posto nei playoff, ma il margine sulle inseguitrici è minimo e agli Warriors potrebbero bastare un paio di passi falsi per precipitare. Ma come sono arrivati fin qui? Ripartiamo dai cinque pilastri di cui sopra.

   

Forza

La lunghezza della regular season e qualche assenza prolungata, su tutte quelle di Curry e Wiggins, hanno esposto ed evidenziato alcuni limiti del roster. Al netto di tali carenze, per cui la dirigenza non è esente da colpe, la qualità del materiale umano a disposizione di coach Kerr non è in discussione.

Il quintetto titolare (Curry-Thompson-Wiggins-Green-Looney) è, numeri alla mano, uno dei migliori della lega; e dalla panchina si alzano giocatori in grado di contribuire nei playoff come Poole (nonostante l’involuzione), DiVincenzo, Kuminga, Lamb e Payton (prossimo al rientro). Il tutto orchestrato da un coach che al prossimo titolo occuperebbe, con l’anello di campione Nba, l’ultimo dito rimasto libero. In due mani.

È tutto da dimostrare, insomma, che al completo questa non sia (ancora) la squadra da battere a Ovest.

 

Coesione

Poche cose nel mondo Nba sono state certe quanto la coesione di questi Warriors. Guardando agli ultimi mesi e al futuro, però, qualcosa è cambiato e le possibilità di essere davanti a una last dance non sono remote.

L’anno è iniziato con il terrificante pugno di Green a Poole in allenamento, un episodio che ha scosso profondamente l’ambiente. Prima dall’interno e poi dall’esterno. Stabilire con certezza il peso delle conseguenze di quel giorno nelle difficoltà della squadra è impossibile da fuori, ma è ragionevole pensare che abbia quantomeno minato la solidità delle fondamenta.

L’orizzonte del nucleo storico, poi, è improvvisamente oscuro: Green sembra destinato a testare la free agency in estate, nel 2024 sarà il turno di Thompson e ad oggi non sappiamo neanche chi prenderà tali decisioni, considerando che pure Bob Myers (general manager) è in scadenza di contratto.

  

Solidità

Le prime sei partite della stagione, in cui sono arrivate tre vittorie alternate da altrettante sconfitte, sono state uno spoiler del 2023 di Golden State. Salvo qualche episodica striscia di risultati, nel bene o nel male, il copione è rimasto sempre lo stesso, all’insegna di una totale inconsistenza.

Steph Curry e compagni hanno flirtato col 50% di vittorie per mesi, dando solo in una circostanza - a febbraio, grazie a un eccezionale Klay Thompson - la sensazione di poter cambiare passo, prima o dopo. Ma è rimasta un’illusione.

  

Identità

Per quanto inusuale per una squadra che difende il titolo, e soprattutto per chi non ha mai avuto problemi sui campi degli avversari (le loro 27 serie playoff consecutive con almeno una vittoria in trasferta rappresentano un record), in questa stagione Golden State è stata irriconoscibile lontano dalla Baia. A tal punto da avere una classifica mediocre nonostante un rendimento casalingo con pochi eguali.

A San Francisco, gli Warriors hanno vinto l’80% delle volte, con una delle difese più solide della lega; fuori casa, invece, 8 vittorie in 37 uscite, con la 27esima difesa della lega. Una differenza abissale e chiaramente insostenibile.

  

Championship dna

Siamo davanti alla fine di un ciclo, dunque? La storia recente della franchigia suggerisce una certa cautela in tal senso. Del resto, avreste scommesso, dopo due anni di assenza, su un ritorno di Thompson ai livelli pre-infortunio? E avreste immaginato un altro viaggio alle Finals, quando Golden State era sul fondo della lega, nel 2020?

Il dna vincente può fare la differenza proprio in momenti de genere, e la cultura Warriors ne è permeata. Come diceva Tomjanovich, mai sottovalutare il cuore di un campione.

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