ciclismo
La Parigi-Roubaix è uno stato libero
L'Inferno del nord era una constatazione della miseria e della distruzione, è divenuto il vessillo di una corsa unica
Lo si capisce a colpo d’occhio. Lo si comprende in un attimo nelle facce, nelle espressioni, nei gesti, nelle parole delle persone che lassù ci arrivano per i giorni giusti, quelli migliori per godersi il meglio che la zona ha da offrire al momento più adatto: quando tutto gira attorno alle biciclette, perché nulla è più importante di una bicicletta che cavalca le pietre. Domenica 2 aprile hanno abbellito le Fiandre, hanno donato al loro popolo una delle edizioni del Giro delle Fiandre più belle e appassionanti. Domenica 9 aprile percorreranno quel lungo santuario a pedali che è la Parigi-Roubaix.
Lo stato libero delle pietre è un’istituzione che esiste, anche se alla maniera dell’isola che non c’è di Peter Pan, ma molto più reale.
Lo stato libero delle pietre è una sotto-regione di due regioni in due stati. Sono un fazzoletto di collinette, pianure che non lo sono fino in fondo, fiumi, fiumiciattoli, caldo caldo, freddo freddo e foschia, nei quali per secoli si sono ammazzati a lungo e volentieri.
Non a Roubaix, non almeno in primissima linea. Roubaix è sempre stata nelle prime retrovie. Le guerre hanno bisogno di grandi fiumi o grandi acquitrini per durare a lungo. Il peggio le guerre lo hanno dato a sud e a est di Roubaix, sulla Somme e sulla Mosella.
Eppure avvicinandosi a Roubaix nel 1919, lungo le campagne francesi che un tempo, e poi dopo, profumavano, torneranno a profumare, di Fiandra, tra macerie e alberi bruciati, tra buche grandi quanto uno scoppio di granata, croci nei campi, lacrime di chi non riusciva a dimenticare, Victor Breyer appuntò sul taccuino e poi riportò sul quotidiano L’Auto: “Questo è davvero l’inferno del Nord”. L’inferno del Nord era una costatazione della miseria della guerra. Si trasformò in un vessillo, qualcosa da andarci fieri. Perché c’è da andarci fieri quando una corsa si trasforma in inferno, vuole dire che sarà uno spettacolo.
La guerra c’è ancora però, è altrove ma non è scomparsa. Nemmeno le biciclette, quelle “sante biciclette che hanno in loro la possibilità di salvare il mondo dalla cattiveria, perché stancano il cuore e liberano la testa”, come disse alla Erich Maria Remarque alla Radio Télévision Suisse nel 1955, sono riuscite a far cessare alla gente di combattere. L’Ue prima, le pietre dopo, hanno quanto meno rimesso a posto quel pezzo di Europa, che ora va avanti coi problemi di sempre, dimenticato alla maniera di sempre, ma che per qualche settimana l’anno diventa il cuore pulsante di un mondo che vede che è lì e non altrove il luogo più bello e importante al mondo.
Benedette biciclette.
“Un fiammingo si ricorda sempre di essere un fiammingo, ed è sempre convinto di essere speciale, e non solo in bicicletta. Io almeno ho sempre conosciuto fiamminghi che pensavano di essere speciali”, scrisse divertito André Gide a Georges Simenon, aggiungendo: “C’è solo un posto dove questo non accade: a Roubaix, anzi alla Roubaix”.
Quel confine non c’è più. I leoni delle Fiandre inondano il bordo della strada della Roubaix, bandiere francesi adornano il Giro delle Fiandre, chi si incontra, tifa, urla allez finisce poi per bere indistintamente Kwaremont o Kronenbourg, che tanto le pommes sono le stesse e qualcosa da friggerci assieme lo si trova senz’altro.
Nell’animo minerale di chi desidera le pietre, le cerca, le brama, considera quel mese e mezzo di classiche del pavé, il mese e mezzo più bello dell’anno, sa che Fiandre e Nord-Pas-de-Calais sono una stessa cosa, parlano due lingue diverse, ma sempre meno, ma si fermano per la stessa cosa: per quella straordinaria e irrefrenabile attrazione che sono le biciclette che ballano sul pavé.
“Più bici, più bici, servono più bici”, si augurò Samuel Beckett. Poi quando finì lungo il tragitto della Parigi-Roubaix, era il 1973, il giorno dell’ultima Roubaix di Eddy Merckx, si pentì di averlo detto: “A vedere quei corridori sballottati su pietre grandi come tavole, ho avuto precisa idea di come la passione si possa evolvere in tortura”.
Più di un corridore ha detto cose simili.
Anche chi ogni anno ci torna perché non può farne a meno.
Anche chi si prende una settimana l’anno per essere lì, tra Fiandre e Roubaix, nello stato libero delle pietre.