il personaggio
Rublev è la risposta migliore a chi temeva che i tennisti russi fossero uno spot pro Putin
Il tennista moscovita vince a Montecarlo e ringrazia il pubblico per il supporto "non scontato fuori dal mio paese". Già un anno fa l'appello al torneo di Dubai: "No War, please". I messaggi per la pace e la scelta dell'Atp di non escludere la Russia (senza inno e bandiere)
Nel tennis è decisamente l'anno dei russi. E non solo perché Daniil Medvedev s'è ricordato di essere pur sempre quello che nel 2021 ha infranto il sogno di Novak Djokovic di completare il Grande slam, e dopo un anno (quasi) sabbatico ha ripreso a macinare vittorie che lo hanno portato in testa alla classifica annuale. Ieri Andrej Rublev ha vinto il primo Master 1000 della sua carriera, a Montecarlo. Aveva davanti il "giustiziere" di Jannik Sinner, il 19enne norvegese Holger Rune che si diverte a sfottere il pubblico, tirare pallate, fare gestacci, parlare col suo box quando sarebbe meglio il silenzio e la concentrazione. Lui, il russo, è stato stranamente impassibile. Sapeva, forse, che questo è l'anno dei russi (nella top 10 da gennaio in poi c'è anche un altro connazionale: Karen Kachanov). Nel principato era arrivato in finale anche due anni fa, allora perse male contro Tsitsipas. Domenica dopo aver concesso il primo set si è messo lì paziente, meno isterico di quanto gli capiti di solito, perché riconosceva che un'occasione per nobilitare il suo palmares ce l'avrebbe avuta ed era bella ghiotta. Peraltro in un salotto tennistico che un po' tutti invidiano, visto che quello al Monte Carlo Country club è uno dei tornei più antichi al mondo, spande tradizione à la Wimbledon.
Fatto sta che quel che ci porteremo dietro della finale tra i due non è tanto il risultato – avremmo preferito un esito diverso, con l'Italia a festeggiare il suo beniamino altoatesino – ma le parole di Rublev. Uno che gioca bene a tennis e ha pure il dono di dire cose non banali, che non sono rimaste relegate al contesto monegasco. "Ringrazio il pubblico, perché avere il sostegno all'estero, venendo dal paese da cui provengo, è molto importante". Paese da cui provengo, ha detto così. La Russia, infatti, nella partita di ieri, non era presente. Non c'erano bandiere, non è stato suonato l'inno, che nella domenica tennistica ha un suo peso, equivale almeno alla Formula 1.
Dall'inizio dell'invasione russa in Ucraina il tennis ha scelto di non ostracizzare i russi (Wimbledon dello scorso anno a parte). Ma li ha deprivati della possibilità di ostentare un'appartenenza nazionalistica. In sostanza, quando giocano sono degli apolidi, soluzione a cui adesso è giunto anche il comitato olimpico. E quando vincono però, com'è il caso di Rublev, non rinunciano a mandare messaggi di senso compiuto sulla situazione del loro paese. L'anno scorso a Dubai, dopo aver conquistato il torneo, Rublev, che ha ancora famiglia a Mosca, scrisse sulla telecamera: "No War, please". A Torino, alle Atp Finals, ha ribadito il concetto: "Peace, peace, peace". Sempre negli Emirati, quest'anno, ha twittato che "non si tratta di tennis, non si tratta di sport. Si tratta di avere la pace in tutto il mondo. Dobbiamo sostenerci a vicenda". Al torneo di Marsiglia ha giocato in doppio con Denys Molchanov, tennista ucraino specialista della disciplina. Lo aveva già proposto Wimbledon, prima che gli organizzatori bandissero i russi.
E' vero che i connazionali di Rublev sono stati molto più timidi nel prendere posizione. Ma anche Medvedev in passato ha detto di essere "vicino a quello che stanno passando i colleghi ucraini". E di augurarsi "la pace in ogni angolo del mondo". Adesso sono lì che guardano tutti dall'alto, non sentono l'inno del paese in cui sono nati, loro che per anni si sono allenati altrove, in giro per il mondo. E quasi si considerano cittadini del mondo. Tutt'altro che uno spot pro Putin.