il ritorno dei quarti
Il Milan è in semifinale di Champions League. Non sempre vince l'estetica
I rossoneri hanno paraggiato 1-1 contro il Napoli al Maradona e continuano a farsi belli di quel dna europeo che forse non esiste, ma che a forza di ripeterlo e ripeterselo hanno fatto in modo di farlo esistere davvero
Poteva andare diversamente, e almeno per venti minuti, i soliti quindi i primi, sembrava dovesse andare diversamente. È bello da vedere il Napoli, a tratti bellissimo: veloce, armonioso, avvolgente, elegantissimo sugli esterni. Khvicha Kvaratskhelia da un lato e Matteo Politano dall’altro: velocità, dribbling, tiri, pericoli. Poteva finire tanto a poco. La sensazione era quella. Il Milan rintanato dietro a difendere, il Napoli all’arrembaggio, coscienzioso, ma costante.
Non è però andata come promettevano i primi vinti minuti. Perché il Napoli è un bello spettacolo, ma non né l’estetica né il pregresso di nove mesi (meno uno abbondante del Mondiale) di calcio giocato a contare qualcosa in Champions League, soprattutto ai quarti di finali. Il Milan è in semifinale, ha eliminato il Napoli, continua a farsi bello di quel dna europeo che forse non esiste, ma che a forza di ripeterlo e ripeterselo ha fatto in modo di farlo esistere davvero. Lo diceva Fiorenzo Magni, il Terzo uomo (uno dei pochi a riuscire a mettersi dietro Fausto Coppi e Gino Bartali): convinciti davvero di qualcosa, è il primo passo per renderlo reale.
Khvicha Kvaratskhelia ha dribblato, accelerato, sprintato, s’è fatto uno e trino, ha raccolto poco. Rafael Leao ha dormicchiato, s’è eclissato, sembrava sparito, ha rischiato di rovinare la partita della sua squadra con un fallo da rigore (c’era), poi, a un certo tempo, si collegato con il mondo che lo circondava, quello del quarto di finale di ritorno, ha accelerato, si è preso un rigore, sbagliato da Olivier Giroud, ha lasciato sulle gambe mezza difesa del Napoli, ha concesso il pallone al francese che questa volta non ha fallito: 1-0. Sta qui la differenza tra la grande bellezza del Napoli e il grande cinismo del Milan. Si vince anche così. Si va in semifinale anche così. L’estetica ha un suo peso, non sempre è decisiva.
Il Milan di Pioli era una bella squadra, capace di vincere uno scudetto anche concedendo piacere agli occhi. Quel Milan esiste ora solo a tratti. Stefano Pioli è ritrovato arcitaliano per necessità, preso com’era a cercare soluzioni al malessere di una rosa che s’era perso nei fumi del ricordo di una gloria che sembrava andata. I rossoneri sembravano essersi estinti, si sono ritrovati, hanno ripreso da dove avevano interrotto, forse in modo diverso, le soddisfazioni sono però simili: un anno fa lo scudetto, oggi la semifinale di Champions League. Non era scontato.
Un passaggio del turno arrivato dopo un’andata accorta e vincente e un ritorno sofferto, ma nemmeno troppo, blindato da una difesa capace di rendere non troppo pericolosi Kvaratskhelia e Osimhen, da un Mike Maignan che ha dato una mazzata mica da poco alle speranze degli azzurri parando un rigore (allo stesso modo di quanto aveva fatto il suo collega Alex Meret), da un centrocampo adatto al sacrificio, al modo che hanno certe squadre di essere tignose e vincenti.
Il Milan ora guarda a San Siro, alla partita tra Inter-Benfica, per sapere chi si ritroverà di fronte in semifinale. Conta poco chi ci sarà, l’importante è esserci, il Milan c’è.