verso istanbul
Inter-Milan in semifinale di Champions rimette la città al centro dell'Europa
Le due squadre milanesi arrivano all'appuntamento di Coppa nella stagione più improbabile. Sarà come fare un tuffo nel 2003, uno scontro antropologico. E i tifosi adesso avranno un mese per sognare
Ed è Neuro-Derby, signori. Vent'anni dopo, come il seguito dei Tre Moschettieri scritto da Alexandre Dumas: Milano torna a giocarsi la vita sportiva in 180 minuti che già immaginiamo soffocanti, oggi che in città è sbucato il primo vero caldo fuori stagione. Nel maggio del 2003 c'erano trenta gradi all'ombra e circa trecento a San Siro, la sera del 7 maggio e ancor di più quella del 13 maggio, quando le pulsazioni di milioni di tifosi seguirono un andamento da scala Richter. È così che andrà e, probabilmente, è così che doveva andare: lo dimostrano anche i tanti piccoli episodi, tutti quei nastri a favore delle due milanesi tra andata e ritorno, compreso qualche fischio o non-fischio arbitrale benevolo che ha indicato la direzione del vento (Leao su Lozano martedì sera, Lautaro su Aursnes ieri sera).
Ha un côté schizofrenico la circostanza di Milano che riporta una squadra in finale di Champions League nella stagione in cui le sue due squadre languono attualmente al quarto e quinto posto della Serie A, che potrebbero diventare quinto e sesto posto dopo le decisioni (o non-decisioni) del Collegio di Garanzia del Coni. Un andamento sinusoidale adeguato ai tempi incerti che stiamo correndo a 360 gradi come società, come ambiente, come mezzi di comunicazione: quando ogni tre giorni Simone Inzaghi passa dallo status di asino a quello di formidabile stratega da notti di Coppa, quando Stefano Pioli si deve districare in una foresta di #Pioliout e nel frattempo è riuscito a ribellarsi a un tracollo invernale apparentemente senza uscita, e stringendo un paio di viti è riuscito a riportare il Milan là dove la sua storia esigeva.
In quest'epoca tossica, ulteriormente avvelenata dai social che – non abbiamo dubbi – appesteranno vieppiù l'aria reale e virtuale di qui a venti giorni, è anche il trionfo della Regione Emilia che porta tre allenatori (mettiamoci anche Ancelotti) tra i primi quattro d'Europa, migliorando il record della Baviera che nel 2020 aveva portato in fondo Tuchel e Nagelsmann. Un Neuro-Derby, inoltre, del tutto calato dall'alto, al contrario di quello del 2003 dove comunque Inter e Milan raccoglievano ancora i cascami di splendidi anni Novanta; un Neuro-Derby impronosticabile, dal momento che il Milan non superava un girone di Champions da nove anni e l'Inter stava già pensando al ripescaggio in Europa League dopo essere stata sorteggiata con Barcellona e Bayern Monaco. Ieri s'è parlato a lungo della presunta esistenza di questo famoso DNA europeo, ma è un discorso che possiamo volentieri allargare all'intera città, l'unica che abbia mai portato due squadre diverse a sollevare la Coppa dalle Grandi Orecchie: “Milano vicina all'Europa” è citazione dalliana sin troppo ovvia ma benvenuta, soprattutto ieri che a San Siro c'era il Benfica.
Vive tempi difficili e burrascosi anche l'UEFA, che però per il 2023 s'è regalata un tabellone di straordinario fascino: da un lato il Neuro-Derby che riporta l'occhio di bue sull'amata, accogliente e rassicurante Milano, dall'altro quella che è oggettivamente la finale anticipata, rivincita dell'incredibile semifinale di dodici mesi fa vinta dal Real Madrid a colpi di DNA (dicevamo?). Per Milan e Inter Istanbul è ancora molto lontana, oltre le Colonne d'Ercole di un doppio confronto che si annuncia ancora più emotivo e stressante del 2003, anche per l'angoscia acca-24 che avvolgerà le teste dei giocatori, molto più di allora esposti alla tempesta: vent'anni fa non c'erano i social né gli smartphone, al limite qualche proto-videofonino che faceva foto pixelatissime, il massimo della tensione era il cornetto con la Gazzetta il mercoledì mattina. Serviranno bravi psicologi prima ancora che bravi allenatori: lasciateci dire che Inter e Milan ci arriveranno in modo diverso, ma perfettamente coerente con la propria storia. Il Milan con la forza del suo solenne passato, incarnato da un Paolo Maldini in pieno clima-partita, che al cospetto di Spalletti è sembrato annusare l'odore del sangue già dalla gara-1 di campionato, e con un approccio alla vita più spavaldo e ottimista. L'Inter come sempre un po' in ordine sparso, là dove il caos però diventa energia, con un allenatore apparentemente disarcionato ma ancora parecchio lucido, perlomeno nelle notti di Coppa, oltre che dotato di un'autostima incrollabile che nel casato di famiglia (leggi anche Pippo) viene prodotta in quantità industriale.
Alla fine della fiera (a Milano è settimana di fiere) Inzaghi e Pioli stanno facendo una stagione quasi speculare: anzi, se vogliamo, Simone ha al suo attivo anche una Supercoppa e una semifinale di Coppa Italia. Eppure Inzaghi è un uomo solo, sbeffeggiato, vilipeso e già dato per disoccupato dal 1° luglio, che ogni volta che apre bocca ha qualche sassolino da estrarre dalle scarpe, mentre Pioli vive nell'ovatta di un ambiente che lo protegge a oltranza, pur di proseguire un sogno che sembrava confinare con la follia; invece no, invece no. Bella storia: sarà l'eterna lotta antropologica tra interisti e milanisti, apocalittici e integrati, ottimisti e pessimisti, speculatori e speculati, lo Yin e lo Yang per dirla con un linguaggio comprensibile anche alla volatile proprietà interista. Sarà bello esserci. Per chi crede, sarà bello tifare, imprecare, sbuffare, fare previsioni, lasciarsi sorprendere. Avanti Milano: per un mese sarà bello sognare.
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