Il Foglio sportivo
La resistenza della Liegi-Bastogne-Liegi
La Doyenne è ormai l’unica corsa in bicicletta che prevede un ritorno. Un affascinante errore storico
Il ritorno è ormai qualcosa che il ciclismo ha dimenticato. Si parte, si arriva, ma non si ritorna mai. È rimasta soltanto a Liegi-Bastogne-Liegi a ritornare, a costruire un ponte tra il contemporaneo e l’antico, quando il ritorno era ancora una possibilità, anche se mai la scelta privilegiata. Solitamente si partiva da un luogo, una città, si arrivava in un altro, in un’altra. Il ciclismo è sempre stato comunicazione, rapporto tra due altrove. Ogni tanto però accadeva che partenza e arrivo coincidessero. Di solito si chiamavano Gran premi o Trofei, si girava in circuiti più o meno lunghi. E questi sono rimasti. Sono i ritorni a essere scomparsi, legati a una dimensione pionieristica di questo sport: la prima Londra-York-Londra è del 1888 ed era lunga poco più di 800 chilometri; la prima Parigi-Brest-Parigi, 1.200 chilometri, è del 1891 come la Tolosa-Luchon-Tolosa, 500 chilometri circa, la prima gara ciclistica che si arrampicò sui Pirenei (si raggiungeva la vetta del Col du Portillon: otto chilometri e mezzo con una pendenza media del 7,5 per cento e vetta a 1.293 metri); la Ginevra-Lyss-Berna-Ginevra, 650 chilometri, è del 1892; la Namur-Givet-Namur, 350 chilometri, del 1893; la Roma-Napoli-Roma, 460 chilometri, è del 1902 (nel 1908 divenne corsa a tappe, due). Sono sparite tutte (queste e le altre: circa una cinquantina di corse prevedevano il ritorno), a eccezione della Paris-Brest-Paris che si è trasformata nella regina indiscussa dell’endurance e viene corsa ogni quattro anni.
La Liegi-Bastogne-Liegi si corre (con qualche interruzione; tra il 1895 e il 1907, nel 1910 e poi nei periodi di guerra) dal 1892. Solo la Milano-Torino, tra le corse arrivate a noi è più antica.
Certo è parecchio cambiata (anche quest’anno non sarà uguale a quella dell’anno scorso: è stata reinserita la côte des Forges e debutterà la côte de Cornémont), per un lungo periodo nemmeno più arrivava a Liegi, ma ad Ans, che è comune a sé nonostante ormai sia un tutt’uno urbano con la terza città belga per numero di abitanti (dopo Bruxelles e Anversa). Si è evoluta, si è adattata ai tempi mutati, ma lo ha fatto in modo eccellente, senza snaturare quello che era: un’esplorazione della Vallonia, una carezza a quell’infinità di colline e monticelli che si perdono senza soluzione di continuità poi tra Lussemburgo, Francia e Germania.
Tutto cambiato a eccezione di quel ritorno, di quel giro di boa a Bastogne, che è sempre stato abbastanza diretto, prima del vagare zigzagante alla ricerca di côtes, di salitelle buone per creare selezione, separare i resistenti da quelli meno, le anime leggere e da salita dalle anime pesanti, selezionare dai tanti i pochi abili a mettere il proprio nome in un albo d’oro lunghissimo, arrivato alla centonovesima edizione. E poco importa, a dire il vero nulla, se ci sono corse con più caselle (la Milano-Sanremo è arrivata a 114 edizioni corse, il Giro di Lombardia a 116, come la Parigi-Tours, la Parigi-Roubaix a 120), la Liegi-Bastogne-Liegi resterà sempre e in ogni caso la Doyenne, la Decana, perché ha ancora un senso nel ciclismo la data di varo di una corsa. E 131 anni sono un gran bel intervallo di tempo.
E pensare che all’epoca, nel 1892, il primo vincitore, Léon Houa (di Liegi), disse che la corsa era stata abbastanza dura, ma un po’ troppo corta, quindi un test non troppo utile per capire se per lui fosse possibile correre per vincere la Bordeaux-Paris, “la più grande corsa che si può correre in bicicletta”. All’epoca era effettivamente la gara più ricca, una delle poche che a Parigi arrivava invece di partire. La storia del ciclismo però si evolvette diversamente, la Bordeaux-Parigi non si corre più dal 1988, Léon Houa ci partecipò nel 1895, dopo aver vinto le prime tre edizioni della Liegi-Bastogne-Liegi, si ritirò dopo nemmeno cento chilometri, lasciò il ciclismo e iniziò a correre con le automobili da corsa. E se viene ricordato a centoventun anni di distanza non è certo per essere stato un pilota, ma per aver vinto la Doyenne.
Se Tadej Pogacar verrà ricordato tra centoventun anni non sarà certo solo per la Liegi-Bastogne-Liegi che vinse nel 2021, sebbene, cronologicamente, sia stata la prima Classica Monumento vinta dal campione sloveno. Forse non verrà nemmeno ricordato per una Liegi-Bastogne-Liegi in particolare (la possibilità che ne vinca un’altra da qui a fine carriera è parecchio elevata), ma se riuscisse a superare tutti domenica si avvantaggerebbe parecchio: solo Davide Rebellin e Philippe Gilbert hanno vinto in un anno Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi, nessuno ci ha sommato pure il Giro delle Fiandre. Certo a Pogacar manca in albo d’oro la Bordeaux-Paris, ma non si sa mai che qualcuno la possa riorganizzare.