Stefano Pioli e Simone Inzaghi (Lapresse)

Il Foglio sportivo - Il ritratto di Bonanza

Pioli e Inzaghi come Marx e Marx

Alessandro Bonan

Il grande comico degli anni trenta sembra ispirare il tecnico del Milan, mentre per comprendere l'Inter bisogna ricorrere ai fondamenti del marxismo. Diversità e somiglianze dei due allenatori in vista del derby di Champions

Questi sono i miei principi, e se non vi piacciono ne ho altri. La frase, conosciutissima, è di Groucho Marx, il grande comico degli anni trenta o giù di lì. Potrebbe tranquillamente stare addosso a Stefano Pioli, se parliamo di calcio e dei suoi principi. Perché Pioli ne ha moltissimi, alcuni radicati, altri volatili, che cambiano a seconda di come spira il vento. Ha vinto uno scudetto giocando un calcio verticale, lo ha perso dimenticando la maniera di attaccare e soprattutto di difendere. È ritornato a essere protagonista, variando schema ogni volta, con la flessibilità di un incoerente, deviato e corrotto dalla perspicacia: quella capacità di capire, più o meno velocemente, quando una strada è destinata a interrompersi nel nulla. E nulla era diventato il Milan un po’ di tempo fa, quando perdeva senza giocare, guardando l’avversario come si guarda un oggetto che non ci si può permettere. Pioli ripeteva come un muezzin, “dobbiamo tornare a giocare da Milan”. Una frase senza peso, senza senso, a cui però ha dato un significato in queste settimane nelle quali ha battuto il Napoli due volte su tre, trafiggendolo con la spada di Leao e difendendosi con lo scudo di Calabria. Attacco e resistenza, talento e forza, questo voleva dire “giocare da Milan”.

 

Pioli, nella semifinale di Champions League, si troverà di fronte un allenatore completamente diverso, che ci vorrebbe l’altro Marx, l’irreprensibile Karl, a spiegarlo. Se per l’economista il lavoro genera plusvalore, nessuno moltiplica il profitto come l’Inter, una delle squadre più laboriose del vecchio continente. Faticano e sbuffano quelli dell’Inter come lavoratori della terra, nell’accezione nobile di un mestiere antico e quasi sacro. Nessuno ha il talento di Leao, che piglia palla da solo e va dove lo attira il sole, non c’è un folletto alla Diaz, che salta l’uomo e rende esplicita l’azione soltanto con un guizzo. Ci sono calciatori forti che hanno bisogno di spazio e voglia, di grandi motivazioni per sudare, come quei contadini appunto che si svegliano all’alba per raccogliere ciò che hanno seminato. Escluso Barella, straordinario jolly, all’Inter ci mettono sempre il fisico, e non hanno altra scelta che lottare. Se perdono la voglia e si distraggono possono cadere davanti ai più deboli come è successo spesso in campionato. Inzaghi sa come prendere il meglio quando tutto diventa gigantesco, iperbolico, quando di notte la luna si fa accarezzare. E quando l’inno suona l’Internazionale.

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