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Nba

A vincere non sono sempre i migliori. Anche in Nba. E va bene così 

Giovanni Battistuzzi

L’uscita dei Bucks di Antetokounmpo dai playoff del campionato di basket americano è l'ennesimo caso sportivo in cui i favoriti finiscono per perdere. Ma una sconfitta non è per forza un fallimento. Nello sport come nella vita. Quello che Giannis dice (e quello che non dice)

Giannis Antetokounmpo è uno dei più forti giocatori di basket in circolazione. Giannis Antetokounmpo è fuori dalla lotta per l’Anello dell’Nba. A volte accade di non riuscire a vincere. Ha perso Ayrton Senna, ha perso Diego Armando Maradona, ha perso Babe Ruth e pure Eddy Merckx che non perdeva quasi mai. Perché Eddy Merckx davvero non perdeva quasi mai. Non sempre lo sport concede gloria al più forte. Soprattutto se non è facile dire chi è il più forte. E l’Nba moderna lascia il dubbio.

 

Qualcuno si appassionerebbe ancora allo sport se rappresentasse un mero calcolo di equazioni? Non funziona e non è mai funzionato così. Ci si ricorda ancora del trionfo retorico per il trionfo del Leicester di Claudio Ranieri, per la bellezza degli scudetti del Cagliari di Gigi Riva o del Verona di Osvaldo Bagnoli, della vittoria del Mondiale di ciclismo del 1973 di Felice Gimondi davanti a Freddy Maertens, Luis Ocaña ed Eddy Merckx. Sarebbe potuto andare diversamente. Non è andata così. “Sono dispiaciuto, peccato, ma i fallimenti sono altra cosa”, disse il Cannibale, quarto al traguardo.

 

Vincessero sempre i più forti sarebbe una noia totale, il trionfo del merito. E nello sport non sempre, quasi mai, è una cosa buona.

 

“Non c’è fallimento nello sport". E poi: “Alcuni giorni ce la fai, altri giorni ti perdi. Oggi è stato uno di quei giorni”. Giannis Antetokounmpo forse si è giustificato dopo la partita persa 128-126 ai supplementari con i Miami Heat che ha sancito l’eliminazione dei suoi Milwaukee Bucks. Poteva andare diversamente. E’ finita male, parecchio male. Nella maniera peggiore: eliminazione al primo turno. Ogni tanto succede. Fa male, fa arrabbiare, a volte disperare. Ma succede.

 

Poi c’è sempre qualcuno che fa la domanda, che associa l’eliminazione, il passo falso con il fallimento. E’ parecchio fastidioso pensare al fallimento. Viene in mente qualcosa senza appello, senza possibilità di ribaltamento, di redenzione. Non sempre è così, ma c’è sempre e costantemente un effluvio di calvinismo, spesso incosciente, quando qualcosa non va nel modo che vorrebbe andare. Qualcosa che rende definitivo e totalizzante un insuccesso. Lo si è visto, sentito, nelle parole di Luciano Spalletti dopo l’eliminazione del Napoli in Champions League contro il Milan. E prima di lui lo si è scorto in altre centinaia e centinaia di casi.

 

Il problema è che ciò che accade nello sport, come tutte le cose della vita in generale, a volte sembra ben più grave e definitiva di quanto lo sia in realtà. Il Napoli festeggerà uno scudetto a breve, débâcle momentanee si trasformano in successi futuri, i più bravi nel loro campo, troveranno la loro dimensione e chissà, magari un giorno, torneranno a vincere.

 

E’ un bel casino lo sport, non ci si capisce mai come le storie di sport vanno a finire, qual è il peso specifico delle vittorie e delle sconfitte. Se le prime servono davvero senza le seconde. O quando le seconde sono o meno importanti per ricondurre alle prime. E’ tutto questo qualcosa che c’entra più con la letteratura che con la cronaca, ed è pure difficile essere in grado di mettere insieme l’attualità con la storia. Giannis Antetokounmpo ha detto il vero, che una sconfitta non è un fallimento, ma è anche difficile rapportarsi con la sconfitta per chi sta dall’altra parte del microfono, per chi di queste sconfitte le deve commentare.

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