La lotta per l'anello
Perché New York-Miami scardina gli equilibri dell'Nba
I Knicks volano alle semifinali di Conference dopo un decennio liquidando Cleveland in cinque gare, gli Heat fanno lo stesso contro la corazzata Milwaukee: il meraviglioso duello della regular season non poteva finire qui
È già diventato il canestro dell’anno. Il buzzer-beater di Jimmy Butler, sospeso in aria e con rilascio da terra, è talmente bello e tecnicamente proibitivo da far trascurare che era stato viziato da un fallo – licenza poetica Nba, se volete. Così i Miami Heat hanno allungato la partita ai supplementari, per poi vincerla, ammazzando la serie contro i favoritissimi Milwaukee Bucks. Non era mai successo che l’ottava qualificata in regular season eliminasse la numero uno in appena cinque partite. Ci è riuscita una squadra trascinata da un giocatore in missione, che in semifinale di Eastern Conference troverà una squadra in missione senza trascinatori designati: i New York Knicks. Anche loro sono passati con un perentorio 4-1, sui Cleveland Cavaliers che li avevano preceduti in classifica. Anche loro hanno fatto la storia, perché è soltanto la seconda volta (l’altra nel 2013) che la franchigia di Manhattan porta a casa una serie playoff dal 2001 a oggi. Meno di chiunque altra.
Sarà Knicks-Heat perché non ne avevamo avuto abbastanza. Era senz’altro l’incrocio più impronosticabile ai nastri di partenza, ma nei precedenti del 2023 aveva garantito scintille di grande basket. Basti pensare che Mike Breen, da 31 anni la voce dell’Nba, ha utilizzato la formula raddoppiata “bang, bang” – marchio di telecronaca, per descrivere le triple più impervie – appena in cinque occasioni: l’ultima il 3 marzo scorso, quando una magia di Julius Randle permetteva a New York di sbancare Miami sulla sirena. Quattro partite e altrettante battaglie sportive, sempre chiuse con meno di 10 punti di scarto: finora lo score stagionale dice 3-1 Knicks, ma da domenica tutto ciò sarà irrilevante. Si parte con gara-1 al Madison Square Garden. E conta solo chi ne avrà di più.
New York ha dalla sua un gruppo forgiato a immagine e somiglianza del suo allenatore: compatto, efficace, difensivamente perfetto: era da 149 partite che Cleveland non rimaneva sotto i 100 punti per tre volte di fila. È l’ennesimo capolavoro di coach Tom Thibodeau. Ha consegnato la regia a Jalen Brunson, coltivato il sesto uomo dell’anno (Immanuel Quickley) e inserito in quintetto un concentrato di tenacia come Josh Hart, che dal suo arrivo a febbraio ha lanciato il salto di qualità dei Knicks – e resta l’unico (forse) in grado di marcare Butler. L’ultimo tassello? Spalmare canestri e responsabilità. Da Robinson a Toppin, da Barrett a Grimes. Se non segna l’uno, ci pensa l’altro. Così New York, in questi playoff, è riuscita quasi a fare a meno di un all-star come Randle: il suo uomo migliore. Che complice una caviglia acciaccata da settimane, ha visto crollare il suo rendimento da 25 punti di media stagionali a 14,4. Addirittura 10 nelle ultime tre decisive partite.
Dall’altra parte, Miami è soprattutto il suo uomo migliore. Perché le recenti prestazioni di Butler, per quanto risaputo animale da post-season, sono fuori da ogni logica: contro i Bucks ha viaggiato a quota 37,6 punti a partita (nell’annata in corso erano 22,9). Addirittura 42,6 nelle ultime tre. Se continua così sarà ingiocabile per chiunque. E gli Heat con lui. È vero, per tutta la stagione non hanno mai ingranato, rincorrendo i playoff fino all’ultimo spareggio disponibile. Ma sono formidabili nei finali punto a punto. Duri a morire come in un film di Bruce Willis. E hanno molta più esperienza dei Knicks: coach Erik Spoelstra e tre giocatori in roster (Lowry, Love, Haslem, tutti comprimari) hanno già vinto l’anello, mentre lo zoccolo duro è quello che centrò le finali Nba nel 2020. Bam Adebayo non è dominante come allora, un eccellente tiratore come Tyler Herro è infortunato. Così tutto è sulle spalle di Butler. “Fai ricevere me”, ha chiesto durante il time-out decisivo a Milwaukee, “mi prendo io l’ultima giocata”. Spoelstra aveva pensato a uno schema diverso. Ma i grandi allenatori sono quelli che sanno ascoltare. Erik come Thibs.