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Dalla lana alle criptovalute, la storia ondivaga degli sponsor sulle maglie nel calcio

Andrea Trapani

Roma e Inter giocheranno senza scritte sul petto perché i soldi promessi non sono arrivati. Ma dagli anni Settanta a oggi la Serie A ha visto anche marchi mai arrivati in Italia o società fallite poco dopo aver firmato l'accordo. Prima di allora serviva comprarsi direttamente la squadra

L'evoluzione delle sponsorizzazioni nel calcio ha radici più profonde di quanto possiamo immaginare. Sebbene le maglie delle squadre siano diventate una sorta di tela pubblicitaria, la loro storia commerciale è stata lunga e variegata. I primi tentativi risalgono al dopoguerra, anche se in Italia la sponsorizzazione di maglia è una pratica commerciale regolamentata solo dalla fine degli anni Settanta. Prima di allora l’avversario più temibile era il pregiudizio delle federazioni nazionali che vedevano qualsiasi scritta al pari di uno sfregio su un’opera d’arte.

 

Vicenza e Torino tra Lanerossi e Talmone

Qualcuno obietterà che, in Serie A, ci siano stati casi antecedenti. A Vicenza, ad esempio, i biancorossi furono i primi ad esporre la R dello sponsor ma non si poteva parlare di un rapporto di sponsorship con un marchio esterno; il club, infatti, era di proprietà dell’azienda tessile, quindi l’esposizione era equiparabile a quella dello stemma societario che aveva già Lanerossi nel nome. Un caso ibrido come quello del Torino che, nel 1958, firmò un accordo con una fabbrica di cioccolato torinese: i granata ottennero una nuova denominazione societaria, Talmone Torino, in stile Lanerossi Vicenza, ma con esiti del tutto diversi visto che i risultati portarono ad abbandonare il nome e la T bianca sulla divisa dopo appena un anno.

   

1973: in Germania arriva la prima sponsorizzazione

Gli storici del calcio ricordano come prima sponsorizzazione ufficiale quella apparsa sulla casacca dell’Eintracht Braunschweig, in Germania, quando il ceo di Jagermeister Günter Mast comprese la potenza della pubblicità nel calcio. Nel 1973 dapprima cambiò il logo della squadra e, quando ebbe la certezza che la federcalcio tedesca sarebbe rimasta impotente di fronte alla novità, fece stampare il proprio brand sulla maglietta. Infranto il tabù, le sponsorizzazioni aumentarono tanto rapidamente che oggi le squadre di calcio non sono più semplici vetrine per una scritta sulla divisa ma un'opportunità per legare le società ai servizi delle compagnie. Ormai esiste uno sponsor per ogni necessità: dal catering agli pneumatici, dalla connessione internet al viaggio in treno.

 

Chi ha lo sponsor fatto in casa

L’unica costante rimasta inalterata è la necessità di far cassa, tanto che si sta assistendo al ritorno dello “sponsor fatto in casa”. Nell’attuale Serie A si contano ben quattro squadre - Cremonese, Fiorentina, Juventus e Sassuolo - che hanno come main sponsor l’azienda, o le aziende, che sono di proprietà o comunque controllate dal presidente del club. Mapei e neroverdi sono lo specchio l’una dell’altra, quasi al pari del rapporto della scritta Jeep con le strisce bianconere. Se la scelta di autofinanziarsi rimane un’operazione legittima, bisogna stare attenti a non andare oltre come nei casi contestati a Paris Saint Germain e Manchester City. Questa però è un’altra storia.

   

Quelli che non vendono in Italia

La maglia viola di Rocco Commisso pubblicizza, nei campi di mezza Europa, la telco americana del patron: una scelta inusuale, ma il bilancio di una società calcistica vale più della coerenza di un messaggio pubblicitario. Una sorte simile è toccata al Bologna con lo sponsor Cazoo che era presente in Italia fino a quando, lo scorso settembre, ha deciso di chiudere tutte le attività all’estero; se i responsabili della startup britannica per la vendita di auto online sono già tornati a casa, lo sponsor di maglia è rimasto in Emilia. Almeno fino a giugno.

   

Quelli che non pagano

Le cronache più recenti hanno messo in scena, infine, casi teatrali come quelli di Inter e Roma che, pochi giorni fa, dopo aver atteso invano il pagamento delle rate, hanno tolto Digitalbits dalle loro maglie visto che Zytara Labs - ovvero coloro che avevano comprato la scritta come ricorda la "DigitalBits Foundation" - non ha rispettato le scadenze. Anche l’Atletico Madrid si è trovato coinvolto nella crisi delle criptovalute e, lo scorso febbraio, WhaleFin ha interrotto il contratto da 40 milioni di euro all’anno. È successo anche che una società scomparisse dal mercato dopo aver firmato un accordo. Nella stagione 2001-2002 apparve un gestore sconosciuto sulle maglie della Juve; Tu mobile aveva deciso di farsi pubblicità prima dell’asta delle licenze Umts, ma la rete dell’operatore siciliano non vide mai la luce. Quanto meno ha realizzato la gioia dei collezionisti, per loro rimane una storia da raccontare.

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