Il Foglio sportivo - That win the best
Ve lo ricordate il complotto dei poteri forti del nord contro lo scudetto al Napoli?
Messi d’Arabia a soli 35 anni non è tanto meglio di Cr7. La vana speranza che il pallone d’oro lo vinca Erling Haaland: basta che non finisca anche lui a a fare interviste sull’importanza di perdere nella vita
Vorrei avere la faccia tosta di certi vostri commentatori che oggi festeggiano lo scudetto del Napoli con la retorica della pernacchia del sud ai giochetti del nord incuranti del fatto che solo pochi mesi fa giuravano di sapere che il Napoli non sarebbe stato campione perché c’era il complotto dei poteri forti del nord, la mafia delle milanesi e della torinese che lo avrebbe impedito. Non ce l’ho, grazie a Dio, ma quando a inizio anno avevo detto che l’Arsenal su cui tutti si facevano le pippe non avrebbe vinto la Premier League sono stato più profeta di chi ha lo standing di scrittore perseguitato con la schiena dritta. Mentre voi annegate nella retorica, sommersi da vignette e fotomontaggi di Maradona che dal paradiso festeggia lo scudetto guardando i morti e feriti di Napoli che fanno comunque tanto riscatto e folklore, io bevo birra e spalmo burro godendomi il fatto che finalmente ci si accorge che Messi in fondo è uno stronzetto come tanti. È ovvio, la narrazione mediatico-popolare ormai ha deciso che lui è il buono e Cristiano Ronaldo il cattivo, il fallito che a 38 anni va a giocare in Arabia Saudita mentre il suo rivale vince il Mondiale. Adesso che anche la Pulce potrebbe andare a giocare con i beduini, e a soli 35 anni, come la mettiamo? Naturalmente verrà raccontata come una scelta lungimirante e coraggiosa, il riposo del semidio che con la sua presenza farà crescere un movimento calcistico ancora in fasce e via con altre puttanate.
Non pensavo che i tifosi del Paris Saint-Germain avessero la lucidità di accorgersi di essere presi per il culo da anni da una società che ha riempito la squadra di figurine ma finora ha vinto solo qualche Ligue 1, il corrispettivo di un torneo di quartiere. Le proteste sotto casa di Neymar e Messi verranno stigmatizzate dai giornalisti che la sanno lunga, ma sono la cosa più umana e popolare che si sia vista da quelle parti nell’ultimo decennio. Non è umano Haaland (e con questa frase vinco il premio Rai Sport per le banalità), che martedì con il suo City giocherà contro il Real Madrid nell’unica semifinale seria della Champions League di quest’anno. Il ragazzo con chioma da ragazza anni Ottanta ha battuto un altro record di gol segnati e, se come spero e credo alzerà la coppa il 10 giugno prossimo, oltre a vincere campionato e magari FA Cup contro i morti dello United, mi auguro che la giuria di pupazzi che assegna il Pallone d’Oro lo dia a lui, e non al tappetto che ha tirato bene un po’ di rigori in Qatar. Non succederà, ma Haaland ha tempo per rifarsi. Purché non finisca a fare interviste sull’importanza di perdere nella vita, dando lezioni su quanto si impari di più dopo una sconfitta che dopo un trionfo (ma allora cosa cazzo diamo le coppe alla fine di un torneo?). Un genere ormai talmente abusato nello sport che anche le calciatrici hanno iniziato a spiegarci il potere catartico della non vittoria. E qui mi taccio che è meglio.