italiani al Giro
Quel filo che Jonathan Milan ha saputo non abbandonare al Giro d'Italia
L'italiano vince la seconda tappa della corsa rosa dimostrando quello che non era scontato dimostrare: ha imparato in fretta cosa serve davvero per essere un ottimo velocista
I velocisti migliori sono sempre stati innanzitutto quelli che riescono ad arrivare in testa al gruppo per provare a mettere davanti la ruota a tutti gli altri. Sembra una banalità, qualcosa di scontato, tipo constatare che se si mette una pentola con dell’acqua su una fonte di calore, l’acqua si scalda. Il banale non è scontato però nel ciclismo. Perché ci sono stati molti buoni velocisti che ad alzarsi sui pedali per sprintare nelle prime tappe di un grande giro non ce l’hanno sempre fatta. E questo perché nelle prime tappe di un grande giro le gambe sono fresche per tuti e nessuno vuole stare indietro, davanti sono in tanti, c’è poco spazio e oltre all’accortezza di sbagliare il meno possibile, serve anche avere la sconsiderata lucidità di non dimenticarsi la vecchia regola che se passa il manubrio passa tutto il corpo. Farlo a venti all’ora è banale o quasi, farso a sessanta all’ora mentre si pedala di gran lena lo è molto meno. Jonathan Milan lo ha fatto oggi sfruttando il varco che Fernando Gaviria e Kaden Groves avevano lasciato tra loro, un metro o poco più. C’è passato, ha superato per primo la linea d’arrivo della seconda tappa del Giro d’Italia 2023.
Il vero tocco d’artista però Jonathan Milan l’aveva fatto pochi istanti prima. Quando Gaviria e Groves avevano provato a dare l’accelerazione giusta per evitare di essere superati, Jonathan Milan e Niccolò Bonifazio s’erano trovati l’uno a fianco all’altro, con il braccio sinistro del primo e quello destro del secondo come punto di contatto. Non sono eventualità rarissime, quasi sempre non si cade, ogni tanto sì, però nella quasi totalità dei casi si rallenta un minimo, si perde una pedalata e con essa l’occasione buona. Jonathan Milan non ha rallentato, anzi ha accelerato, è filato dritto verso lo striscione. Non è andata allo stesso modo a Bonifazio: ottavo.
I velocisti, tutti, sono funamboli che devono cercare di non finire fuori con la ruota dal filo che hanno sceso di tessere fino all’arrivo. Ci sono tanti fili, alcuni paralleli, altri convergenti, alcuni incidenti. E in quei casi tocca farsi carico, di corpo e soprattutto di testa, di evitare di perdere il proprio filo. Che Jonathan Milan avesse un gran corpo era facile individuarlo: un metro e novantaquattro d’altezza e ottantaquattro chili di spalle e gambe non passano inosservati in uno sport la leggerezza ha ancora un suo perché. Che avesse due gran gambe era ancor più evidente: non si vince a caso un titolo europeo, mondiale e olimpico nell'inseguimento a squadre, vale lo stesso, forse ancor di più, quando ci si laurea campioni europeo in quello individuale. Che però l’italiano avesse anche la capacità di gestire piccoli spaventi e conflittualità di fili non era scontato. Non sono molti quello che lo imparano subito. La maglia ciclamino che domani indosserà nel gruppo, ricorderà a lui e a tutti che lo ha imparato davvero.
Quella maglia ciclamino la vorrebbe vestire a Roma, e forse il prima possibile, tra gli altri, Mads Pedersen. Toccherà aspettare un po’, nonostante l’intento fosse quello di mettersela già addosso al primo tentativo. Per rendere possibile tutto questo Amanuel Ghebreigzabhier era stato a prendere vento in testa al gruppo per più di centocinquanta chilometri, che c’era da non far prendere troppa strada di vantaggio a Mattia Bais, Thomas Champion, Stefano Gandin, Paul Lapeira e, per un po’ Alessandro Verre. C’è sempre gente che ha il cattivo gusto di farci sgobbare, pensano i gregari; c’è sempre gente che ha il cattivo gusto di braccarci e farci fare il doppio della fatica.
Mads Pedersen si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato a poco meno di quattro chilometri dal traguardo. Amanuel Ghebreigzabhier in quel momento ha capito che aveva fatto tutto per niente. Non si è rammaricato poi tanto, sa che va così, lo rifarà alla prima occasione utile.
Una mezza dozzina di corridori sono finiti a terra, un bel po’ hanno dovuto rallentare, alcuni fermarsi. Remco Evenepoel era davanti e ha continuato a fare quello che aveva iniziato a fare ieri. Incamerare secondi. Non a Filippo Ganna, secondo in classifica, o a Primoz Roglic, quello che vorrebbe sfilargli la maglia. E nemmeno a João Almeida, a Geraint Thomas, ad Aleksandr Vlasov e a Damiano Caruso, rimasti nel primo gruppo. Tutta gente che ha alla portata il podio del Giro d'Italia e che sa benissimo che a volte basta poco per salirci davvero. La ricetta è semplice: stati davanti il più possibile e spera non siano troppi, il meno possibile, quelli che stanno meglio di te. Ad altri, i più, è andata peggio: Eddy Dunbar, Jake Haig, Jay Vine, Hugh Carthy, Tao Geoghegan Hart, Thibaut Pinot, Santiago Buitrago sono arrivati sul groppone 19 secondi. A Lorenzo Fortunato e Thymen Arensman, 31. A volte capita. Ora sono otto i corridori sotto il minuto di distacco dal campione del mondo.