la terza tappa del Giro
Giro d'Italia. Matthews vince una tappa a regime torrentizio
Prima della piena della volata dell'australiano, di quella per l'abbuono di Evenepoel, dello scattino per i punti del Gpm di Pinot, c'era stata la magra. La corsa rosa oggi ha preso spunto dal fiume Ofanto
La valle e le colline che seguono il percorso del fiume Ofanto sono un luogo incantevole, dove anche le pale eoliche si integrano perfettamente tra le decine di tonalità di verde – è verde pure l’Ofanto per un bel tratto – che dipingono il paesaggio. Sarebbe da pedalarci a lungo in quelle zone, le gambe si riempirebbero di chilometri e gli occhi di panorami quieti che raccontano che natura e tecnologia non sempre cozzano.
Il fiume Ofanto è un susseguirsi di piene debordanti e magre tristanzuole. Non è diverso dal ciclismo, soprattutto da un grande giro. Ci sono momenti di magra, di pedalate interlocutorie, di fughe che vanno il giusto e gruppo che gli pascola dietro. Quelli buoni per trasformare il Giro d’Italia in un’occasione per scoprire cose che non si conoscevano e che mai ci sarebbe saltato in mente poter conoscere. Funziona. È anche questo il bello del cicsmo. Ci sono momenti di ruote che si fanno veloci e impetuose, di ascese collinari che rimescolano distacchi e ambizioni.
La terza tappa del Giro d’Italia ha preso spunto dal regime torrentizio del fiume Ofanto. Prima c’è stata la magra, poi è arrivata la piena. Prima una lunga e calma rincorsa del gruppo ai due del Team Corretec-Selle Italia Veljko Stojnić e Alexander Konychev (176 per il serbo, 174 chilometri per l’italiano che li portano in cima alla classifica per il maggior numero di chilometri in fuga), poi un menare duro sui pedali per fare il maggior danno possibile alle gambe di quei velocisti che le salite le digeriscono poco e male.
Michael Matthews e Mads Pedersen sono due corridori che potrebbero essere definiti velocisti, perché il meglio lo danno quando devono sfrecciare a velocità elevata verso l’arrivo. L’australiano e il danese sono però anche tante altre cose, soprattutto due ciclisti eccezionali per capacità e tempra: veloci sì, ma ovunque. Michael Matthews ha vinto, Mads Pedersen è arrivato secondo. Avevano fatto i conti giusti, i loro piani sono andati a buon fine.
Di velocisti velocisti ce ne erano pochi in gruppo, anzi solo Kaden Groves a dire il vero. Tutti gli altri, da Jonathan Milan, vincitore ieri della seconda tappa sul traguardo di San Salvo, si sono persi lungo i chilometri di salita che portavano prima verso i laghi di Monticchio e poi verso il Valico La Croce, valico abbastanza sfortunato visto che l’Anas ha pensato di metterci un cartello con su scritto “ANAS VALICO DI QUOTA 113”. Pure Mads Pedersen s’era attardato negli ultimi metri della seconda salita, ma aveva fatto i conti giusti. Meglio perdere qualche centinaio di metri che farsi scoppiare cuore e gambe. È rientrato in discesa.
Trenta chilometri lungo i quali non c’è stato tempo per vedere nient’altro che i corridori. Dovrebbero pensarci gli enti turismo quando investono sul Giro d’Italia: meglio la pianura che la salita per fare vedere le bellezze del territorio, a meno che non siano le Dolomiti.
Trenta chilometri che hanno regalato agli appassionati uno scatto, a dire il vero parecchio breve, di Thibaut Pinot. È l’ultimo Giro d'Italia, gli ultimi mesi in gruppo: vederlo en danseuse sui pedali per un Gpm (saranno due a fine tappa) conquistato e sul palco vestito di blu (leader della classifica degli scalatori) è un bel vedere. Non però per Santiago Buitrago, o quanto meno non abbastanza. Perché il colombiano è un guerrigliero, farebbe battaglia su ogni salita, aveva in mente il colpaccio, si è ritrovato con un compagno di avanguardia del tutto disinteressato alla rivolta. Ci sarà tempo.
Ci sarà tempo anche per le montagne, domani il primo assaggio. Remco Evenepoel però di aspettare non ha troppa voglia. E così, in mancanza di terreno per staccare gli avversari, per intimorirgli ancor di più, ha colto l’unica opportunità che gli organizzatori gli hanno concesso oggi: un traguardo volante a una decina di chilometri dall’arrivo. Ha sprintato davanti a Primoz Roglic, ha rifilato un secondo a lui e tre a tutti gli altri che si sommano a quelli raggranellati per evidente superiorità nella prima e quelli per caduta di gruppo nella seconda. Serviva fare lo sprint?, ci si chiede sui divani italiani. Certo. Serve tutto. Spesso è il timore di non riuscire a staccare la maglia rosa a salvare alla lunga la maglia rosa.