a Lago Laceno
Giro d'Italia. Andreas Leknessund in rosa è il trionfo del ciclismo demodé
Dicono gli esperti (appoggiandosi alla scienza, quindi nulla da obiettare) che è meglio salire le montagne di agilità che di potenza. Il lungo rapporto del norvegese è un tributo alla vecchia scuola. La quarta tappa l'ha vinta Aurélien Paret-Peintre, così forse la finiranno di dire che è il fratello meno forte
Andreas Leknessund è un ventitreenne molto poco alla moda, che quelli alla moda potrebbero definire old school. Tra chi si crede alla moda, c’è chi ritiene che essere old school sia anch’esso un modo di essere alla moda. Nel ciclismo non va proprio così. Pedalare col rapportone in salita è diventato soltanto demodé. E Andreas Leknessund in salita non ci va per nulla leggero con i rapporti. O almeno questo ha fatto vedere nel corso della quarta tappa del Giro d’Italia 2023.
Dicono i più che a salire le montagne col rapporto leggero si salvano i muscoli, che è meglio aumentare la frequenza che il numero di metri che si percorrono con un giro completo della pedivella. Probabilmente hanno ragione, la scienza dice questo. Andreas Leknessund però è in maglia rosa indipendentemente dal rapporto spinto in salita. E la sensazione è che questo nome e cognome i grandi favoriti per la vittoria del Giro d’Italia se lo troveranno tra le scatole a lungo. Perché Andreas Leknessund ha poca esperienza (ha disputato un solo grande giro in carriera, il Tour de France dell’anno scorso), spinge rapporti vecchia scuola in salita, ma di talento ne ha parecchio e promette di diventare un gran birbone. Intanto sono gli altri a doverlo inseguire. A partire da Remco Evenepoel. A dire il vero il belga e tutti gli altri presunti favoriti per il podio finale non ha fatto nulla per impedire tutto questo. La maglia rosa alla lunga è parecchio impegnativa tra lavoro extra per i gregari che devono controllare il gruppo e tempo davanti ai microfoni ogni giorno dopo la tappa. Forse Remco Evenepoel aveva argomenti solo per un tot di giorni e ha voluto preservarli per fine Giro.
Andreas Leknessund avrebbe voluto vincere anche la tappa. E da solo. Bella soddisfazione arrivare in solitudine all’arrivo. C’aveva provato. Aveva staccato tutti i compagni di fuga. Poi s’è un po’ piantato, perché forse quelli che dicono che è meglio pedalare coi rapporti leggeri in salita non hanno tutti i torti, o forse solo perché aveva sbagliato i tempi, o ancora più probabilmente perché Aurélien Paret-Peintre è un bel volpone e nel ciclismo ci sta da più tempo.
Fatto sta che Aurélien Paret-Peintre ha raggiunto il norvegese e poi l’ha battuto nello sprint a due. Il francese aveva vinto il Grand Prix Cycliste la Marseillaise e una tappa al Tour des Alpes Maritimes et du Var, s’è portato a casa una vittoria al Giro d’Italia, così magari finiscono in Francia, ma anche altrove, che è il fratello meno forte dei Paret-Peintre, perché il piccolo Valentin… Se il compito dei fratelli maggiori dovrebbe essere un punto di riferimento di quelli minori, cercare di non farsi mettere facilmente i piedi in testa è un primo passo.
Una vittoria, per Aurélien Paret-Peintre, e una maglia, per Andreas Leknessund, che sono figlie della perseveranza e di una buona dose di pazienza e ostinazione. Perché nei primi sessantacinque chilometri di scatti e controscatti, allunghi e inseguimenti ce ne sono stati innumerevoli. La metà di questi portati avanti da Ben Healy e Alessandro De Marchi. Avrebbero meritato di essere davanti l’irlandese e l’italiano, ma le fughe, si sa, non sono mai un premio al merito, di solito, in tappe così (a inizio Giro e con strade in continuo su e giù) sono soprattutto un premio al tempismo. Vincenzo Albanese, Warren Barguil, Nicola Conci, Amanuel Ghebreigzabhier, Andreas Leknessund , Aurélien Paret-Peintre e Toms Skujins oggi ce l’hanno avuto. Hanno avuto il merito di pedalare forte, la fortuna che il gruppo fosse poco propenso a correre per vincere. Succede anche questo. Da sempre. E il bello è anche questo.