Giro d'Italia. Il più veloce a evitare il tuttigiùperterra di Salerno è Kaden Groves
Il velocista batte Jonathan Milan e Mads Pedersen. Tantissime cadute in una tappa infradiciata dalla pioggia. Remco Evenepoel finisce a terra due volte, Primoz Roglic (e tanti altri) una. Cavendish passa il traguardo scivolando, Vendrame va via in ambulanza
Diceva quel vecchio saggio di Eberardo Pavesi, l’Avocatt – pioniere del ciclismo e poi vincentissimo direttore sportivo della Legnano –, che quando si cade in bicicletta prima si contano le botte e poi i bottoni. Le botte sempre a fine tappa, i bottoni, ossia i postumi della caduta, nei giorni successivi. E che sono sempre i bottoni quelli che poi frenano le gambe. La quinta tappa del Giro d’Italia ha distribuito botte a tanti, si vedrà nei prossimi giorni l’entità dei bottoni.
Tra i tanti corridori caduti, a tirar le somme di botte e bottoni saranno anche Remco Evenepoel e Primoz Roglic.
Roglic è uno che con la gravità, intesa come forza fisica, c’ha un rapporto consolidato. Di asfalti ne ha conosciuti parecchi, pure quelli italiani. È uno che sa rialzarsi, fare spallucce, pedalare anche in condizioni che sarebbe meglio stare a letto. Ha detto che “poteva andare peggio”. Sa di cosa parla, gli si può credere.
Evenepoel è caduto meno in carriera, perché quelli forti forti, dicono, cadono mai. Lui è volato giù da un ponte al Giro di Lombardia pandemico. Le cadute banali le ha quasi sempre evitate. Oggi ha fatto doppietta. Una è arrivata scodinzolando: un cane ha buttato a terra Davide Ballerini, suo compagno di squadra, la bici di Ballerini ha fatto il resto. Nella seconda invece c’ha messo del suo. Cambio di direzione, ha urtato la ruota posteriore di un corridore che lo superava. Patatrac. Roglic ha detto che Remco gli ha detto “che sta bene fortunatamente”. Ma è come chiedere all’oste se il vino è buono. Vedremo i bottoni. Di chi ha progetti rosa, o quantomeno di podio, non sono gli unici ad essere finiti giù per terra. Nel girogirotondocascailmondo sono incappati anche Joao Almeida, la maglia rosa Andreas Leknessund, Domenico Pozzovivo e Aleksandr Vlasov.
Tra Atripalda e Salerno, lungo i 171 chilometri della frazione odierna, ha sempre piovuto. Le nuvole probabilmente apprezzano i corridori, vogliono vederli da vicino, toccarli con le loro gocce. Un metereologo probabilmente troverebbe una spiegazione migliore, tant’è. Di pioggia ne è venuta giù tanta che di ruote ne sarebbero servite quattro, non due. Al resto c’ha pensato la salsedine. Quando si è vicini al mare va così, ci si può far niente. Servono occhi, manico, riflessi e un buon santo a cui appellarsi. Non tutti ne hanno trovato uno buono o quantomeno uno disposto ad ascoltarli. Quando le condizioni sono queste serve stare in piedi. E chi sta in piedi ha sempre ragione.
Kaden Groves in piedi si è rimesso dopo aver assaggiato l’asfalto, nonostante questo ed è stato il più veloce. A Salerno Kaden Groves ha vinto davanti a Jonathan Milan e Mads Pedersen in una volata che ha concesso in dono l’ultima caduta. Non era richiesto. Mark Cavendish la linea d’arrivo l’ha superata in scivolata dopo una sbandata che ha mandato alle transenne Filippo Fiorelli. Le transenne hanno tenuto, le immagini del Giro di Polonia per fortuna non si sono ripetute: se le minime condizioni di sicurezza ci sono, i drammi fanno più fatica ad accadere. Andrea Vendrame è volato giù dalla bici dopo lo striscione d’arrivo. È andato via in ambulanza.
Doveva essere volata e volata è stata. Poteva essere una giornata semi-tranquilla, non lo è stata. Brutto da dire, scrivere in questo caso, ma il ciclismo è anche questo: vince anche chi sta in piedi. I cinque chilometri di quasi drittone finale non sono stati sufficienti, pioggia e salsedine sono un sapone naturale che agevola la gravità anche in una semicurva. I corridori si sono sparpagliati ovunque, non tutti in piedi, Rigoberto Uran ha preso 1’09”, Jay Vine 1’11”. Finito il Giro d’Italia probabilmente sceglieranno la montagna come meta delle vacanze.