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A Napoli

Giro d'Italia. Per Clarke e De Marchi trecento metri di troppo. Vince Pedersen

Giovanni Battistuzzi

L'ex campione del mondo conquista la sesta tappa della corsa rosa. L'australiano e l'italiano hanno rischiato di portare all'arrivo una fuga che sembrava impossibile da portare all'arrivo. È andata male, ma non devono aver nessu rimpianto, hanno rappesentato nel modo migliore lo spirito primigenio della bicicletta: libertà e anarchia

Cosa sono 300 metri rispetto a 162 chilometri? A far di conto lo 0,19 per cento, la bicicletta però è spazio che ha che fare con il tempo. E allora è un attimo, un soffio, uno schioccare di dita. Poco davvero. È un pianto e una consolazione, una delusione e un abbraccio, un rimpianto no. Non si può rimpiangere nulla dopo aver dato un grattacapo grande come l’intera Campania a un gruppo ancora bello nutrito di velocisti e buone intenzioni; dopo aver in due rischiato di beffare gregari tosti e capitani agguerriti. Simon Clarke e Alessandro De Marchi sono stati ripresi a poco meno di trecento metri dall'arrivo della sesta tappa del Giro d'Italia. Hanno sfiorato quello che sembrava anche solo impossibile sfiorare, perché è logico pensare che essere in tanti renda facile, quasi banale, la fagocitazioni di due corridori soltanto in una tappa con parecchi su e giù, ma con gli ultimi trenta chilometri senza grosse asperità. Non è così, non è né banale né scontato se davanti ci sono due anime da fuga come Simon Clarke e Alessandro De Marchi, gente arrivata nel ciclismo a forza di voglia di determinazione e voglia di non mollare. È un duro lavoro quello degli avventurieri del Giro d’Italia, una sfacchinata che a volte non porta a niente, che si può interrompere a pochi metri dall’arrivo, ma che, proprio per questo, li rende indispensabili, perché animati dallo stesso spirito primigenio della bicicletta: libertà e anarchia.

Nessun rimpianto, non c’è da averne, di delusione sì, è comprensibile in certi casi, quando il traguardo è lì a un passo e non sei te a passarlo per primo dopo decine e decine di chilometri da soli al vento. Dopo la linea d’arrivo, Simone Clarke si è appoggiato con braccia e testa sul manubrio, stremato. Alessandro De Marchi lo stesso, ma meno. Si è avvicinato all’australiano, si sono detti qualcosa. C’è mai tempo di dirsi qualcosa quando si è a tutta e si ha centinaia di persone all’inseguimento. Forse si sono chiariti, forse consolati, magari hanno finito per darsi un nuovo appuntamento, una nuova avventura da pedalare assieme, la speranza di un nuovo finale. Migliore.

Il ciclismo è anche questo, mettere il piede a terra a fine tappa e non crogiolarsi troppo in festeggiamenti o delusioni, pensare alla prossima occasione, perché serve sempre crearsi una nuova occasione, non te la cala dall’alto nessuno.

    

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Lo sa bene Mads Pedersen. Il danese era stato rallentato da una caduta alla prima tappa. E quando era riuscito a disputare lo sprint aveva difettato in tempismo prima e in velocità poi, ha fatto ammenda, s’è ricostruito una nuova opportunità. Quella buona. A Napoli ha vinto davanti a Jonathan Milan, che dopo il successo a San Salvo ha infilato un altro piazzamento buono per la difesa della maglia ciclamino, e Pascal Ackermann. L’ex campione del mondo è riuscito a vincere anche al Giro d’Italia dopo Vuelta e Tour: centoquattresimo corridore a essere riuscito a vincere almeno una tappa in tutti e tre i grandi giri di tre settimane.

In classifica generale non è cambiato niente. Andreas Leknessund è ancora in maglia rosa, Remco Evenepoel ancora in seconda posizione, ma questa volta senza cadute. Geraint Thomas ha rischiato di lasciare invece a Napoli decine e decine di secondi. S'è salvato un po' di gambe sue, un po' di gambe altrui, dei compagni di squadra.

      

L'ordine di arrivo della 6a tappa del Giro d'Italia 2023

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