i due volti di milano
Dietro l'euforia di Inter-Milan il futuro del calcio e delle città. Parlano Marotta e Scaroni
L’euro-derby che staccherà il biglietto per Istanbul è protagonista dell’evento del Foglio a San Siro. Il calcio è sogno ma anche futuro, Europa, uno stadio: un traino per l’Italia. Confronto tra l'ad dei nerazzurri e il presidente dei rossoneri
Il giorno dopo la grande notte di stelle a San Siro, la grande europartita del Meazza come Milano non ne vedeva da vent’anni (e il resto delle nostre città non ne ha viste mai). Il giorno dopo la grande notte della semifinale, che è solo un’andata e non una milleduesima notte fatata pronta a far sognare l’oriente e il profumo del Bosforo a questi colori o a quelli. Il mattino dopo la grande notte appena passata, lo stadio di San Siro è tornato a essere un duomo silenzioso, una cattedrale (ops) nel deserto. Solitario in quella landa desolata di asfalto fradicio e Jersey di cemento, punteggiati a sfregio da gialli denti di leone. Ma non è così, sembra soltanto così. Invece dentro, nella sala Executive con affaccio sul sacro prato che i giardinieri stanno medicando zolla per zolla, con affaccio irresistibile ai selfie sulle panchine dell’area tecnica, l’euroderby continua a vivere e a vibrare, nell’evento del Foglio dedicato allo sport, “Il Foglio a San Siro”. Un giorno intero per parlare di sport, di sistema italiano, di giovani da far crescere bene e di economia, di imprese future e personaggi leggendari.
E di Milan-Inter, ovviamente. E dell’Inter-Milan che il prossimo martedì accenderà di nuovo le luci a San Siro e le mille luci della Città (wannabe) Lumière. Il derby continua fra gli ospiti, ovviamente: quelli che rappresentano, fuori dal campo e nel campo loro proprio di capitani d’industria, i due club milanesi. La rivalità c’è, ma il terreno dello sport è comune.
Il primo a salire sul palco del Foglio è un Alessandro Antonello tirato a lucido come Barella in questo finale di stagione. Il ceo corporate dell’Inter, insomma l’uomo dei conti e degli acrobatici bilanci: “Una bellissima prestazione. I ragazzi hanno dato lustro alle loro capacità, partiamo da buone speranze per il ritorno”. Lui stesso sa che non può dirla più grossa, e soffre scaramantico il pubblico che ha fede nei colori della notte. Poi torna sul suo, perché non c’è spazio per i sogni a perdere in una città che ama il calcio quasi quanto la buona amministrazione: extra bilanci in ordine nulla salus. Serve rango europeo: “C’è stato il record di incasso e al ritorno probabilmente lo supereremo. I club hanno mostrato grande capacità organizzativa fuori dal campo, ma San Siro mostra lacune in queste occasioni. Mancano servizi idonei che ci permetterebbero di ottenere risultati migliori”.
Il presidente del Milan Paolo Scaroni, capelli al vento e camicia sportiva, è apparso subito molto più tonico di quanto non fosse mercoledì sera Calabria in marcatura su Dzeko. Fa mostra di aver incassato bene, “il Milan nel bene e nel male regala emozioni uniche, ieri è stata una serata storta ma sono convinto che al ritorno avremo ancora energie”. Poi, anche lui, va al sodo, o al solido, ché pane e fantasia lo lasciamo a chi non ha i denti: “Dobbiamo puntare sulla corporate hospitality, gli incassi sono la benzina del Milan”, dice. “Il derby di Champions ci ha portato 10 milioni e 462 mila euro di incasso, ma con un nuovo stadio sarebbe tutto diverso”.
Nella pancia della Scala del calcio, anche quando si fa finta di non parlarne il grande dibattito che tiene sul filo Milano da quattro anni è sempre quello. Perché serve uno stadio nuovo? O almeno radicalmente ridisegnato e rifatto? “Perché serve una corporate hospitality adeguata. Ci avrebbe permesso di vendere biglietti alle aziende, e dunque venderli a 5 mila euro l’uno (alle aziende, non ai privati, precisa, ndr). Occorre offrire maggiore qualità anche agli spettatori normali”. Antonello ha appena sciorinato: “I fatturati da stadio dei top club europei si attestano sui 120-130 milioni, quelli di Inter e Milan sui 70, il nuovo impianto coprirebbe il gap”.
L’aria serena del post derby (d’andata) contagia di rilassato ma prudente ottimismo lombardo anche Beppe Marotta da Varese, un fascio di fibre pronto allo scatto come un Lautaro sul limitare dell’area. O forse sarà l’orgoglio per un altro risultato incassato ieri mattina, non alla Scala del calcio ma al Conservatorio: il diploma dell’onorificenza all’Ordine del Merito di Cavaliere della Repubblica, concesso per celebrare 40 anni di carriera. Della squadra, invece, dice prudente: siamo contenti ma non euforici fino in fondo, non dobbiamo sottovalutare l’avversario”, e non è solo fair play. E’ anche il senso pratico di chi il calcio lo conosce bene, e sa che anche in periodi di vacche magre chi ha naso trova pepite come “Dzeko, Mkhitaryan, Acerbi, Darmian”.
Ma il calcio ha bisogno di benzina, come dice Scaroni che se ne intende. Questa onusta e un po’ vetusta cattedrale del calcio trasuda di trofei e domande. Che riguardano tutti, riguardano Milano. “Noi e l’Inter teniamo in mano il dossier San Siro. Ne parleremo col sindaco in settimana: ogni ulteriore passaggio col comune significa maggiori costi e minore attrattività economica. In parallelo, non rinunciamo a studiare le alternative”. Ma Scaroni non indica quali, fossero pure fuori città: “Costruire in quest’area è diventata un’impresa titanica. Opposizioni agguerrite e vociferanti proliferano ovunque, costringendo a compiere dei passi indietro”. Vale per lo stadio, ma vale per molti altri progetti in città: ora che tanto si parla di studenti in tenda e si chiedono immobili pubblici e caserme per la bisogna, qualcuno ricorderà forse che la Caserma Magenta, nel centro della città, sta ancora lì e “aspetta ’a sciorta”, perché quando si provò a farne la sede dell’Accademia di belleaArti i baroni si opposero perché non volevano traslocare da Brera. “Riteniamo che San Siro sia la location migliore” dice anche Antonello, “ma se l’amministrazione non darà certezze, anche noi abbiamo alternative per costruire altrove”.
C’è un futuro calcistico che è nel cuore diviso in due dei milanesi: “Il rinnovo di Leão? Non è nelle mie mani, se ne occupano Furlani e Maldini: ma siccome li vedo sorridenti, sono ottimista anch’io”. De Ketelaere? “La pazienza è una delle nostre virtù, del nostro stile Milan”. E Zlatan “deve continuare a giocare”, in fondo i sogni sono bandiere. Di mercato fa un po’ più fatica a sognare Antonello: futuro ancora con Suning? “L’Inter suscita interessi, se la proprietà accetterà nuove partnership saranno esclusivamente per il bene del club”. Fitte al cuore. Marotta tirato a lucido elogia il Napoli in fiesta mobile ed elogia Spalletti, che conosce da lungo tempo e “forse ha raccolto in carriera meno di quello che ha meritato”. Ma sospende il giudizio sul futuro. Perché non è solo il campo a dover parlare. C’è il tema di un calcio milanese in grande spolvero come non si vedeva da molti anni, e in generale di tutto il calcio italiano di club (altre tre semifinaliste in Europa). L’euroderby può far bene a tutta l’Italia, non solo a Milano. Certo, qui può essere un ennesimo traino attrattivo, da sommare alla moda, al design, all’arte. Ma anche per l’Italia in generale il segno positivo di città e club che si riaffacciano in Europa fa bene. Ora è il momento del Napoli, e Roma si appresta a lanciare l’operazione stadio. Per il resto, prudenze e speranze, c’è un biglietto per Istanbul ancora tutto da staccare: “Io dell’Inter, lei del Milan”, come cantava Celentano. Ed eravamo in centomila allo stadio, quel dì.