8a tappa: Capua-Campo Imperatore, 218 km
Giro d'Italia. Davide Bais e lo sfrontato ottimismo
Sul Gran Sasso arriva la fuga. La tappa ha detto essenzialmente che Remco Evenepoel fa bene a parlare, a dire che Primoz Roglic gli sembra agitato e che lui invece sta benone: gli hanno creduto tutti a tal punto che nessuno ha provato a verificare la sua versione
C’era da essere parecchio ottimisti a pensare che di poter raggiungere il traguardo prima del gruppo quando si è solo in quattro e si hanno davanti al naso 212 chilometri e oltre quattromila metri di dislivello. Tra l’ottimismo sfrontato e l’allucinazione c’è spesso poca differenza, eppure se fai il corridore e al Giro d’Italia ci sei con lo scopo di entrare nel maggior numero di fughe possibile, sperando che almeno una riesca a non essere fagocitata dal gruppo, ecco che a farti muovere le gambe non può essere che, quantomeno, una gran dose di realismo di matrice positiva. Con la speranza e basta si fa di solito poca strada. Davide Bais, Simone Petilli, Karel Vacek e Henok Mulubrhan ne avevano a manate oggi. Soprattutto i primi tre quando Henok Mulubrhan si è perso per strada. Si sono infuturati per l’Appennino, hanno pedalato in salita e in discesa, sotto il sole (poco a dire il vero) e sotto la pioggia, con il vento a favore e contro, soprattutto di buona lena e di comune accordo fino ai trecento metri dall’arrivo. Lì Simone Petilli ha provato a staccare gli altri, prima che gli altri staccassero lui. Davide Bais ha vinto l’ottava tappa del Giro d’Italia in cima a Campo Imperatore, sotto la cima del Gran Sasso d’Italia, davanti a Karel Vacek. Lo sfrontato ottimismo ha pagato. Anche perché oggi il gruppo ha preferito muoversi compatto e sereno, ha scelto la quiete che di tempesta ne aveva presa già troppa verso Salerno e nei primi cento chilometri della frazione odierna.
La prima tappa che prevedeva un arrivo in salita del Giro d’Italia si è rivelata inconcludente, non ha detto niente sulle condizioni dei corridori che si dicono interessanti alla maglia rosa. Però non è vero che non ha detto nulla, qualcosa in realtà ha detto: Remco Evenepoel fa bene a parlare, a dire che Primoz Roglic gli sembra agitato e che lui invece sta benone. Gli hanno creduto tutti a tal punto che nessuno si è sognato di mettere anche solo un minimo in discussione la sua versione dei fatti. Fosse accaduto così a Eddy Merckx, il belga avrebbe vinto probabilmente un migliaio di corse e non “solo” 445. Vero che al traguardo di Roma mancano due settimane, vero che di salita in programma ce ne è parecchia, ma se Remco continua a parlare e gli altri ad ascoltarlo si finirà a contare i giorni che mancano al via del prossimo Tour de France e a concederci rapidi innamoramenti per gli avanguardisti di giornata, cosa che già sappiamo fare benissimo.
Davide Bais è un gran bel corridore, uno di cuore, uno che non ha paura di rischiare la mattata, perché è perfettamente consapevole che in gruppo ce ne sono molti che sono più veloci di lui, che hanno più scatto di lui, che in salita sono più abili di lui. Davide Bais lo sa e fugge appena può da loro. Il ciclismo è l’unico sport nel quale fuggire è un atto di coraggio e Davide Bais ha sempre dimostrato di averne a pacchi. Ha pedalato migliaia e migliaia di chilometri con il gruppo alle calcagna. Questa vittoria ripaga di tutte le altre volte andate male. Domani coprirà la sua maglia dell’Eolo-Kometa con quella blu di miglior scalatore. Altro premio alla perseveranza.
“Sono andato in fuga per fare un po' di punti ed essere di appoggio al nostro capitano Fortunato, poi la corsa si è messa in modo diverso. Allora ho cercato di gestire le energie, di conservare le forze e alla fine ce la siamo giocata: devo ancora realizzare quello che è successo”. Davide Bais ha anche il dono della franchezza.
A volte ciò che è più difficile nel ciclismo è perché certe cose capitano. Perché tra ciò che potrebbe, dovrebbe, accadere e ciò che accade ci sono magari decine di migliaia di chilometri. Eppure di solito la spiegazione, diceva Fiorenzo Magni, si può condensare in tre caratteristiche: abnegazione, ostinazione, immaginazione. Bais non difetta di nessuna. Anzi.
Karel Vacek oggi forse ha trovato la via per riprendere il percorso che sembrava poter intraprendere nel ciclismo. “Sono quattro anni che non sentivo più l’odore della lotta per la vittoria”, ha detto dopo l’arrivo. Sa di cosa parla: tra gli Junior prometteva di essere un ottimo corridore. “Oggi ho dato tutto quello che potevo. Non so cosa dire: non riesco a capire ancora cosa è successo. L’anno scorso volevo smettere di correre in bici: dopo tutti questi sacrifici ci ho creduto. Sono anche stato chiamato all’ultimo momento per fare il Giro, quindi questa per me è un’impresa”. Un discorso simile a quello di Simone Petilli. Per qualche anno era stata presa per buona la possibilità che potesse diventare un corridore da altissima classifica, poi le cose sono andate leggermente diversamente. Il suo l’ha però sempre fatto e fatto bene. Chiedere per conferma a tutti i capitani e ai direttori sportivi che ha avuto. La vittoria arriverà. Serve solo avere la pazienza e l’ottimismo di aspettarla.