Il Foglio sportivo
Solo Leao può ribaltare il derby che vale la Champions
L’Inter ha vinto per 2-0, ma è insoddisfatta. Il Milan è uscito battuto, ma non abbastanza per sentirsi spacciato. Tra sei giorni sarà il campo a spazzare via ogni dubbio
Al triplice fischio di Gil Manzano, con un pezzo di San Siro in festa e l’altro a rimuginare, sono ufficialmente iniziati i sei giorni del paradosso. Il primo round della semifinale di Champions League ha detto Inter in maniera tonante, eppure sono proprio i nerazzurri a doversi crogiolare in una strana sensazione, a metà tra il dubbio e l’apoteosi: è mai possibile vincere con due gol di scarto il derby di andata con vista su Istanbul e allo stesso tempo rimanere insoddisfatti? I primi venti minuti della notte del Meazza sono stati segnati da una tracimante marea interista e i danni generati dal duo Dzeko-Mkhitaryan sono parsi perfino pochi. Inter padrona, debordante, contro ogni pronostico che lasciava presagire un primo confronto intriso di prudenza e paura. E invece lo 0-2, alla fine, risulta addirittura un affare per un Milan apparso spaesato e svagato al cospetto dei rivali cittadini. Tiene infatti aperto un pertugio, per quanto minuscolo e sottilissimo, nel quale provare a lanciarsi con speranza e incoscienza.
La speranza è quella di ritrovare, come d’incanto, il miglior Milan possibile: non solo negli uomini, perché avere o non avere Leao e Bennacer, probabilmente i due giocatori di movimento più importanti nello scacchiere di Pioli, fa tutta la differenza del mondo, ma anche e soprattutto nello spirito. Nei momenti di sbandamento, dopo i due gol, il Diavolo ha provato ad aggrapparsi a un Tonali rabbioso e nervoso e per questo, inevitabilmente, non sempre lucidissimo. C’è stata tanta foga, non sempre ben indirizzata, che ha portato con sé enorme confusione. E se Maignan ha avuto la prontezza di riflessi di prodursi in una parata da portierone di hockey per negare a Dzeko il tris, l’altro leader tecnico della squadra, Theo Hernandez, si è eclissato, lasciandoci con una domanda: il Milan gioca bene quando il francese è in giornata oppure è il terzino a brillare nei momenti in cui tutto fila alla perfezione? Saranno dunque giorni di densa attesa, con lo staff medico chiamato a schiarire le nubi che avvolgono le condizioni di Leao mentre non ci sarà Bennacer, uscito anzitempo proprio nella fase di partita in cui i rossoneri erano allo sbando: tutti, però, compreso l’ex Empoli. Pioli, nella notte più opprimente, ha realizzato con amarezza quanto possa incidere il fatto di non avere a disposizione l’uomo in grado di cambiare il ritmo del respiro della propria squadra: quel che era successo al Napoli nel quarto di finale d’andata, senza il suo capopopolo e capocannoniere Osimhen, stavolta è toccato in sorte al Diavolo, che ha provato a sopperire con Saelemaekers dirottato a sinistra, scoprendo però che nel belga, la cui prova è stata comunque migliore di quella di molti altri suoi compagni, non c’è nulla che possa imprimere quella scossa elettrica garantita dagli strappi improvvisi e incontenibili di Leao.
L’incoscienza, invece, ha a che fare con quello che si è visto in campo ieri: pensare che il Milan possa ribaltare un doppio svantaggio contro questa Inter col vestito buono appare obbligatoriamente come un pensiero difficile da sostenere. A Inzaghi va riconosciuto il merito di non essersi lasciato sedurre dai nomi, andando dritto per la propria strada: quindi Calhanoglu in regia al posto di Brozovic pur di lasciare spazio a quel trattato di intelligenza calcistica che risponde al nome di Mkhitaryan e soprattutto Dzeko al posto di Lukaku. La masterclass del bosniaco non sta tanto nel gol, per quanto fondamentale nell’aprire un canyon nel quale il Milan è precipitato senza nemmeno avere la prontezza necessaria per aggrapparsi a un qualsivoglia sperone, quanto nella sua capacità di disporre a piacimento della manovra offensiva nerazzurra. È sempre stato un dieci nel corpo di un nove, un regista offensivo in grado di generare apprensione, nelle giornate e serate di grazia, in un intero reparto difensivo.
Nelle notti di Champions League, l’Inter versione 2022/23 si è sempre esaltata, superando un girone da incubo e poi riuscendo a svolgere il proprio compito anche in quei brani di stagione in cui, in campionato, faceva una fatica bestiale. Per la settima volta in questa impronosticabile cavalcata, la porta è rimasta chiusa, scalfita solamente da un destro di Tonali deviato quanto bastava da Bastoni per farlo finire sul palo. Proprio per questa sensazione di dominio durata praticamente per tutto il match, l’impressione è che l’Inter, pur partendo in vista del ritorno da una solidissima posizione di vantaggio, possa aver sprecato l’occasione buona per infliggere il colpo del ko, il 3-0 che avrebbe reso la partita di martedì una passerella da gestire con la stessa eleganza con cui Dzeko, a 37 anni, ha portato in giro la difesa rossonera, facendosi parete per gli scambi stretti e sventagliando da una parte all’altra del campo quando il match lo ha richiesto. La colpa, se davvero di colpa si può parlare, è stata una certa pigrizia collettiva al tramonto della contesa, quando è mancata la qualità, più che la forza, per andare in porta per la terza volta: ripartenze abbozzate e non portate a termine, finezze non richieste.
Al termine di questi sei giorni del paradosso, sarà il campo, come sempre, a spazzare via ogni dubbio. Il Milan, che mercoledì sera ha cercato solo timidamente quel soffio di vento in grado di modificare il corso degli eventi, non solo non potrà permettersi un’altra partenza horror di quel tipo, ma dovrà presentarsi con tutt’altro arsenale tecnico ed emotivo. È l’unico modo che ha per far dimenticare all’Inter una notte praticamente perfetta.