10a tappa: Scandiano-Viareggio
Giro d'Italia. Una fuga, due facce: il sorriso di Cort, la commozione di De Marchi
A Viareggio i fuggitivi anticipano il gruppo: il danese vince la 10a tappa della corsa rosa, l'italiano chiude terzo. Secondo è Derek Gee, bella scoperta di questi primi giorni di Giro
Ora provateci a prendere. Quando Davide Bais e Magnus Cort hanno raggiunto Alessandro De Marchi e Derek Gee, che di chilometri all’arrivo ne mancavano 150, si sono guardati complici, si sono voltati e nel constatare l’assenza del gruppo si sono rinfrancati: meglio quattro che in due. Forse si sono detti questo, ora provateci a prendere, forse no, sicuramente hanno iniziato a pedalare di buona lena, uno in fila all’altro, con sincronismo, senza fare i furbi. C’era un gruppo da tenere a distanza, a fare i conti tra di loro c’avrebbero pensato nell’ultimo chilometro. A 150 chilometri dall’arrivo non è scontato arrivare, soprattutto quando si è in pochi alle prese con il volere opposto di molti. E ancor meno scontato lo era dopo la sparizione di Davide Bais nella discesa del Passo delle Radici. Non era scontato, ma è accaduto. Il gruppo non è rientrato, i tre si sono giocati il successo di tappa nell’ultimo chilometro e mezzo: c’hanno provato Derek Gee e Alessandro De Marchi, ce l’ha fatta Magnus Cort. E con la vittoria a Viareggio, decima frazione del Giro d’Italia, il danese può dire di essere riuscito a vincere anche lui almeno una tappa in tutti e tre i grandi giri.
La lunga rincorsa del gruppo, che a un certo punto – al termine della discesa del Passo delle Radici –, sembrava quasi una formalità, non è infatti andata a finire come i velocisti avevano immaginato, avrebbero voluto. È mica semplice la vita dei gregari degli sprinter quando si deve inseguire i fuggitivi quando a tirare la carretta dell’inseguimento si è in pochi e ai più non interessa minimamente di sprecare energie in una rincorsa del tutto inutile, che tanto si sa come va a finire contro corridori come Jonathan Milan, Mads Pedersen, Pascal Ackermann: vincono loro. Ed è ancor meno semplice per i gregare inseguire i fuggitivi quando davanti c’è gente tosta come Magnus Cort, Alessandro De Marchi e Derek Gee, corridori che non hanno problemi a prendere vento in faccia, che la fatica la sentono meno di altri.
Il danese e l’italiano sono da anni che sono eccezionali uomini da avanguardia. Il canadese della Israel -Premier Tech no, è alla prima stagione nel World Tour, alla prima corsa a tappe di tre settimane della carriera. Due fughe su due portate all’arrivo (c’aveva provato anche alla Parigi-Roubaix, ma ha finito con la ruota davanti a pezzi) e due secondi posti sono un buon inizio. Non ci si finisce per caso nelle fughe al Giro d’Italia, Derek Gee ha fatto vedere di essere parecchio scaltro, di avere una gran gamba, di essere un compagno di avanguardia solido e prestante, soprattutto senza timori reverenziali. Il gruppo è stanco e sempre meno numeroso – tra Covid, freddo, cadute e fatica (che col freddo vale triplo) – di occasioni per i fuggitivi ce ne saranno ancora, per la vittoria ci sarà tempo.
Quello che sembra non intravedere più Alessandro De Marchi. Dopo l’arrivo la commozione era liquida nei suoi occhi. L’espressione tirata, le parole affaticate. “Inizia a essere un po’ frustrante. Però domani mattina sarò di nuovo lì pronto a riprovarci. Avrei voluto provarci un po’ di meno e azzeccarla al primo colpo, però la storia sembra questa”, ha detto ai microfoni di Eurosport.
È comprensibile il dispiacere provato dal friulano. Il ricordo di quei trecento metri di troppo a Napoli, quelli delle altre vittorie solo sfiorate. Il pensiero che anche nei momenti belli, come la maglia rosa indossata due anni fa, qualcosa si sia spezzato troppo presto. La sensazione è quella di inseguire un palloncino gonfiato a elio che sale sale sale e per quanto ci sia arrampichi non lo si riesca ad afferrare. E può nemmeno rincuorarlo il fatto che con ogni scatto, ogni tentativo, ogni inseguimento, abbia contribuito a far accrescere l’apprezzamento di una parte del pubblico, che non somma il numero di vittorie ma quello di chilometri davanti al gruppo. Può far piacere, ma non toglie il rammarico delle felicità viste scomparire a pochi metri dal traguardo.
A Viareggio sono evaporati, con ogni probabilità, anche i pensieri di podio di Jay Vine. L'australiano è caduto, ha inseguito, ha contato oltre dieci minuti di ritardo. Correrà da battitore libero, come gli si confà.