Un altro Giro

Il ciclismo alla Merckx di Edita Pucinskaite

Marco Pastonesi

"Giro, Tour, Mondiali, tante altre vittorie, tantissime soddisfazioni. Ma il bello sarebbe venuto dopo. Alla fine del 2010 smisi con il ciclismo, e la mamma ne fu finalmente felice, e cominciai con la bicicletta. La bicicletta per stare fra la gente e con la gente". Intervista all'ex campionessa lituana

C’era anche lei, l’altro giorno, sulla strada, al Giro d’Italia. La Scandiano-Viareggio, sulla salita di Montemagno, sotto la pioggia. Ad aspettare, aspettare i corridori e aspettare quella improvvisa, istantanea, violenta, torrenziale scarica di emozioni. Confusa fra la folla. Eppure Edita Pucinskaite sta al ciclismo donne come, quasi, Eddy Merckx al ciclismo uomini. E’ una delle due (l’altra è l’olandese Annemiek van Vleuten) ad aver conquistato Giro (2006 e 2007), Tour de France (1998) e Mondiali (1999), ed è ancora l’unica ad aver indossato la maglia gialla al Tour dalla prima all’ultima tappa. Edita “litaliana”, prima lituana da figlia, studentessa e campionessa di ciclismo, poi italiana da moglie, madre e ambasciatrice della bicicletta.

    


La corsa rosa è un giro di ricordi e sogni, avventure e disavventure, imprese e crisi, storie e passioni. Un altro Giro è la rubrica di Marco Pastonesi che ci accompagnerà strada facendo sulle strade del Giro d'Italia 2023


 

Chilometro zero: “Seconda di tre figlie. Per il babbo Leonardas c’era lo sport, per la mamma Valerija gli studi. Cercai di accontentarli tutti e due iscrivendomi al prestigioso Istituto dello sport riservato ai migliori atleti dai 13 ai 18 anni. Si candidarono in 120 per 10 posti, e di quei 10 ne sarebbero stati selezionati due. Mi presentai per l’atletica: alto, lungo, 100, 500, 1500... Bocciata, non mi arresi e mi dedicai al ciclismo. Il babbo continuò a raccontarmi di Giro e Tour, maglie rosa e maglie gialle, la mamma continuò a cercarmi di farmi cambiare idea e a chiedermi quando avrei smesso”.

La fuga: “Dicevano che fossi timida, grigia, insicura. Avevo quasi un complesso di inferiorità. Se come punto di riferimento io avevo il babbo, le mie sorelle avevano la mamma. Tant’è che Daiva è docente universitaria di Matematica e Ingrida si è laureata in Economia e lavora a Bruxelles nella Commissione europea. Dicevano che facessi numero, dicevano che non avessi carattere. Ci misi un po’, ma il ciclismo mi aiutò a rivelare la personalità. Era tutto un gioco, una sfida, un’avventura. Una volta, con la nazionale lituana, arrivammo alla partenza del Giro che il Giro era già cominciato. Non tornammo a casa, troppo lontano, proseguimmo per la Francia, di giorno a pedalare sulle Alpi, di notte a dormire in tenda”.

La corsa: “Se le mie sorelle hanno preso tutto dalla mamma, io ho ereditato tutto dal babbo. Sangue, salute, sport, sogni. Resistenza. Lui, la resistenza nella vita: l’infanzia in un orfanotrofio, i genitori morti su un treno durante la deportazione in Siberia, poi il lavoro in una fabbrica di cemento, la casa in uno dei luoghi più inquinati del Paese. Io, la resistenza nello sport: nell’atletica i 1500 metri, le campestri e l’obiettivo di una maratona olimpica, nel ciclismo la distanza, le salite, le corse a tappe. A testa bassa. Con tenacia e ostinazione. Senza mai fermarmi. In Lituania era una tortura: freddo, vento, pianura. In Francia e Italia si trasformò in emozioni, gioia, passione: sole, montagne, perfino letteratura”.

L’arrivo: “Giro, Tour, Mondiali, tante altre vittorie, podi, piazzamenti, tantissime soddisfazioni. Ma il bello sarebbe venuto dopo. Alla fine del 2010 smisi con il ciclismo, e la mamma ne fu finalmente felice, e cominciai con la bicicletta, e il babbo capì e approvò. La bicicletta per stare fra la gente e con la gente, la bicicletta che ai bambini fa scoprire il mondo e ai nonni regala l’illusione di essere ancora bambini, la bicicletta che, come diceva il mio babbo, non sono cavalli imbizzarriti ma strumenti musicali, naturali, umani. M’iscrissi a una squadra neonata, l’Avis Bike di Pistoia, i soci ne erano così sorpresi ed entusiasti che mi nominarono presidentessa onoraria, a me questa carica fa impressione perché di solito è attribuita a vecchi pensionati, invece io mi prodigo nell’ideare, organizzare, aiutare, come una gran fondo che porta il mio nome e cognome, come una pedalata studiata innanzitutto per le donne, come tutte le manifestazioni dove i bambini possono imparare a pedalare e giocare. Una sessantina di tesserati, ogni anno qualcuno in più.”.

Il traguardo: “Abito a Monsummano Terme, mio marito Roberto pedala anche con me, i nostri figli Tomas, 10 anni e Lukas, otto – nomi lituani per bilanciare il cognome italiano, Rossi – si dedicano ad altro, Tomas al tennis, Lukas a nuoto, tennis, karate e calcio, niete ciclismo forse perché dai nostri discorsi hanno capito che andare in bicicletta da queste parti è pericoloso. I principi del nostro ciclismo non sono più Giro, Tour e Mondiali, ma amicizia, divertimento e solidarietà. L’amicizia si crea, il divertimento si accende, la solidarietà si insegna. Donare il sangue, per esempio: non c’è nulla di più personale e intimo, genuino e generoso, e vitale”.

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