18a tappa: Oderzo-Val di Zoldo, 161 km
Filippo Zana vince in Val di Zoldo e completa i colori del Giro d'Italia
Dopo fughe, inseguimenti e lavoro gregario il campione italiano festeggia sotto il Monte Pelmo. Per Thibaut Pinot continua la sindrome di Calimero. Roglic attacca, Thomas risponde, Almeida si stacca
È un bel posto per vincere la val zoldana. Perché quando si vince si guarda più in là della propria ruota, si alzano gli occhi al cielo e sotto il cielo della val zoldana c'è il Monte Pelmo, che è un gran bel vedere. È un bel posto soprattutto se si ha indosso la maglia di campione d'Italia, perché la tonalità di verde che del tricolore è forse l'unico che manca a tutto il verde che c'è attorno, completa lo spettro cromatico. Filippo Zana oltre a sistemare lo spettro cromatico, ha sistemato anche il suo Giro d'Italia che già, a dirla tutta, era già parecchio positivo. Che di fughe ne aveva centrate, che di ottimi piazzamenti pure (terzo nella ottava tappa, quella di Fossombrone), che di chilometri in testa al gruppo ne aveva percorsi per agevolare le vittorie altrui (tipo a Melfi per Michael Matthews), che d'aiuto ne aveva dato (come a Eddy Dunbar verso il Monte Bondone). Vincere una tappa era qualcosa in più, che non gli era richiesto, ma che se fosse arrivata sarebbe stato meglio. È arrivata al termine della diciottesima frazione, la Oderzo-Val di Zoldo, 161 chilometri.
È un corridore tosto Filippo Zana, perché per restare a ruota di Thibaut Pinot non lo si può non esserlo. Anche oggi il francese s'è prodigato per guidare l'evasione dal gruppo. Anche oggi c'è riuscito, s'è fatto trovare avanti a tutti con altri e poi avanti a tutti da solo. Non abbastanza però, senz'altro meno di quello che avrebbe voluto. Solo poche centinaia di metri, poi s'è ritrovato a ruota il campione italiano, ha provato più volte a staccarlo prima sulla strada in salita che portava a Coi, poi su quella che conduceva al rifugio Palafavara. Filippo Zana non si è però mai scollato dalla sua schiena. C'ha provato, l'ultima volta, anche a poco più di un chilometro dall'arrivo. Lì ha scosso la testa, aveva iniziato a capire che non c'era niente da fare. In lui è cresciuto il solito sconforto, è riesplosa la sindrome di Calimero. S'è dovuto accontentare ancora una volta di un secondo posto. Come a Crans Montana, come molte altre volte in carriera. Spesso si vuol più bene ai secondi che ai primi, spesso ci immedesimiamo più con loro che con i vincitori. È successo, forse, anche questa volta. Ma è una magra consolazione per chi di lavoro fa il ciclista professionista, soprattutto per chi sa che ormai manca poco all'ultima pedalata in gruppo e che una vittoria la vorrebbe più di ogni altra cosa. Gli rimane una possibilità a questo Giro d'Italia. Domani.
Di possibilità ne ha una di più invece Primoz Roglic per ribaltare un Giro che Geraint Thomas sta con pazienza e gambe cucendosi addosso. Le Tre cime di Lavaredo sono distanti una sessantina di chilometri dal rifugio Palafavera, ma le corse a tappe non vanno mai per direttissima, quasi sempre aggomitolano l'aggomitolabile, dilatano le distanze, tornando anche indietro se necessario. Domani, verso le Tre cime di Lavaredo, Primoz Roglic cercherà di completare ciò che ha iniziato oggi con un coup de théâtre di quelli ben riusciti. A inizio tappa aveva fatto vedere di essere in quelle giornate buie nelle quali ci si perde in coda al gruppo. Non era così o almeno così non è andata. Verso Coi lo sloveno prima ha fatto lavorare forte Sepp Kuss, poi ha fatto da sé. Alle sue spalle sono spariti in tanti, tutti. A eccezione della maglia rosa. Geraint Thomas non ha perso un metro, ha zompettato en danseuse con una tranquillità assoluta impassibile. Era contento però. Perché João Almeida con loro non c'era, era dietro staccato. Perché sapeva che ci sarebbe voluto ben altro per staccarlo e che Roglic non aveva di più da dare.
È andata bene a entrambi. Lo sloveno è tornato al secondo posto in classifica e ha avuto la conferma che sul Bondone era stata solo una giornata storta. Il gallese ha qualche secondo in più da poter gestire. Ancora pochi, ma Thomas non è uomo che si spaventa per questo. Sa gestire il presente e non farsi assalire dall'ansia del futuro. Nei loro occhi domani appariranno le Tre cime di Lavaredo e tutti e due sanno che anche quello è un bel posto per vincere. Lo sa anche João Almeida, che con serenità ha detto che era andata meglio sul Bondone, ma che domani chissà, si può mica sapere come stanno le gambe. Le sue, degli altri, di tutti.