In Coppa Italia tra Fiorentina e Inter ha vinto il più forte
Il calcio di Vincenzo Italiano è bello da vedersi, potenzialmente mette in crisi qualunque squadra ma schierare Lautaro Martinez nel suo momento migliore batte qualsiasi schieramento che ha il suo fulcro nello sviluppo della manovra con ritmi elevati per mettere fretta all’avversario con la ricerca continua dell’attacco
Erano passate le 23 quando Simone Inzaghi sollevava al cielo la Coppa Italia, la seconda consecutiva vinta da allenatore dei nerazzurri, la terza in assoluto da tecnico, eguagliando il numero dei successi nella competizione raggiunti da giocatore. Mica male per uno nato nel 1976. Inzaghi lo ha fatto dimostrando che nel calcio esiste una sola cosa razionale: essere i più preparati a vincere.
La vittoria del più forte
Fiorentina-Inter è stata la vittoria del più forte, una regola naturale nello sport e nel calcio. Inzaghi si è costruito una narrazione da uomo delle finali, ha una percentuale di vittorie che tutti gli invidiano, un grande merito per chi è consapevole dei propri mezzi. Inutile nascondersi: il calcio di Vincenzo Italiano è bello da vedersi, potenzialmente mette in crisi qualunque squadra ma schierare Lautaro Martinez nel suo momento migliore batte qualsiasi schieramento che ha il suo fulcro nello sviluppo della manovra con ritmi elevati per mettere fretta all’avversario con la ricerca continua dell’attacco. Una tattica che funziona, come quella del tecnico interista che cerca la profondità. Ha vinto la seconda. Facile dire che Cabral e Jovic non valgono l’attacco di una delle due finaliste della Champions League, la vera differenza è che l’Inter ha fatto investimenti (impensabili in una piazza come Firenze) per venderne il risultato proprio in questi appuntamenti. A volte non basta, nonostante tutto Inzaghi ha vissuto contestazioni e periodi negativi nel corso di questa stagione, però ha di avere le armi per far girare le partite a suo favore come nel primo tempo di ieri.
Cosa manca alla Fiorentina, cosa ha in più l’Inter
Non è stata una partita banale. Nico Gonzalez, l’anima argentina di Firenze, ha provato a rovesciare il tavolo come a Basilea ma una squadra che è “costretta” a divertirsi per contrastare le individualità dell’avversario, allo stesso tempo rischia di far divertire giocatori come Lautaro. È andata così: due gol nel quarto d’ora finale della prima frazione e finale vinta con un gran gol. Attenzione ancora una volta: non è il trofeo di un solo uomo, è la vittoria di quella razionalità che il calcio spesso dimentica.
In questa stagione Fiorentina e Inter si sono affrontate tre volte, tre belle partite, vivaci e piene d’occasioni, uno spettacolo per le tv e per gli amanti del calcio. Due volte su tre è finita come ci si aspettava che dovesse finire, ovvero con la vittoria dei più forti: nel girone d’andata i nerazzurri furono cinici nel carambolesco 3-4 del Franchi, a San Siro la sorte girò bene ai viola. Già, la sorte. La fortuna è il convitato di pietra quando si parla di calcio. La Fiorentina non ne ha avuta molta, se quel pallone di Nico o quel colpo di testa di Jovic fossero entrati si parlerebbe di altro. Forse no. Un risultato diverso non avrebbe cambiato quel che si conosceva alla vigilia di questa partita. La stessa Fiorentina ne è consapevole: se ipotizziamo che il risultato finale dell’Olimpico fosse stato prevedibile, lo stesso vale per la semifinale contro la Cremonese. Due atti, di cui inutile, vinti per manifesta superiorità.
A cosa servono i complimenti dopo una finale persa?
Pensieri che, scaramanzie a parte, risuonano anche in casa Inter: era la più forte a Roma, ma non lo sarà a Istanbul contro il City. Simone Inzaghi, dal canto suo, sa che giocare come Vincenzo Italiano sicuramente gli regalerebbe tanti applausi contro il calcio di Pep Guardiola. La domanda è un’altra: servono davvero i complimenti dopo una finale?
La risposta non è semplice. A Firenze, dove giocare la gara conclusiva di Coppa Italia rimane un evento, gli applausi sono necessari per accompagnare un percorso di crescita ma a Milano sono quasi superflui. Merito di un Inter che ha imparato a essere protagonista quando serve: in questi mesi il brivido dell’eliminazione diretta ha colmato i passaggi a vuoto in campionato e il palcoscenico europeo sembra essere quello dove i nerazzurri sanno coniugare al meglio il talento dei singoli e la predisposizione tattica a cui il tecnico ha abituato questa squadra. Torniamo ai nomi, se non funziona Lautaro Martinez, ci sono comunque Dzeko e Lukaku. In Italia è così, fuori no. In Europa il paragone con il City potrebbe sembrare impietoso se pensiamo che debbano vincere sempre i più forti. Lo abbiamo detto: se accade è giusto che sia così, ma il calcio regala sempre la possibilità di essere i migliori quando serve. Se non si è i più forti, non si parte battuti. Quel che è successo all’Olimpico è una cosa normale e razionale, quel che accadrà a Istanbul e Praga saranno due storie diverse.