Foto Ap, via LaPresse

Nba

Boston Celtics-Miami Heat, una partita senza precedenti

Francesco Gottardi

I Celtics potevano diventare la prima squadra su 151 a ribaltare una serie da 0-3 a 4-3. Non è andata così. Miami raggiunge la finale Nba contro i Denver Nuggets dopo aver fatto quello che nessuno si aspettava

Era la partita. Non tanto perché metteva in palio le Nba finals contro Denver, ma per il fascino dell’insormontabile. In gergo sportivo, gli americani lo chiamano reverse sweep: letteralmente spazzata inversa, ovvero vincere una serie dopo aver perso il numero massimo di gare prima dell’eliminazione. Al meglio delle tre succede, al meglio delle cinque fa notizia, al meglio delle sette diventa eccezionalità statistica. È raro nell’hockey (4 successi su 204), è unico nel baseball (uno in 38 anni con questo formato), è assente nel basket. E pure forzare la contesa a gara-7, partendo da 0-3, è qualcosa che resta negli annali: si contano soltanto tre squadre su 151, circa il 3 per cento dei casi. La quarta, in questi playoff, sono stati i Boston Celtics. E battendo Miami la notte scorsa, Tatum e compagni avrebbero potuto diventare i primi a completare l’impresa.

Gli ingredienti c’erano tutti: i Celtics erano i gran favoriti ai nastri di partenza, con tutta l’inerzia dalla loro. E soprattutto, si sarebbero giocati il match point in casa. Ma quel che tutti si aspettavano – bookmakers in testa – non è successo.

È successo invece che gli Heat hanno dominato, gelando il TD Garden in totale scioltezza. E sfatando una buona manciata di altri tabù cestistici degni di nota. La squadra di Erik Spoelstra è la prima dell’Nba convenzionale a vincere una finale di Conference da ottava sul tabellone – ce l’avevano fatta i New York Knicks nel 1999, ma in una stagione azzoppata dal lockout. È la prima a vincere una gara-7 di un potenziale reverse sweep in trasferta: negli altri precedenti, cioè, la rimonta era sul groppone dell’underdog di turno e la difesa del vantaggio spettava alla formazione di casa. Anche per questo, tutti scommettevano su Boston. Ancora di più guardando l’andamento di gara-6 in Florida, buttata via e poi riacciuffata dai Celtics allo scadere grazie a un tap-in galeotto di Derrick White: uno dei finali di partita più mozzafiato del basket moderno. E un macigno psicologico per chiunque al posto di Miami.

Non per la banda di Jimmy Butler. Che puntualmente, dà il meglio di sé quando la danno per morta – e viceversa, sul 3-0 a favore si era un po’ emozionata. Dal terzo minuto in poi, Boston non ha più capito come fare canestro. Miami invece è andata sul velluto, sulle ali di Butler e di un Caleb Martin in formato all-star: uno dei cinque gregari ‘dimenticati’, che prima di risorgere in casa Heat sotto le cure di coach Spoelstra erano sprofondati fino alla G-League – il campionato satellite dell’Nba. Martin, 26 punti in gara-7, ha guidato i suoi fino al +10 in chiusura di terzo quarto: con un simile vantaggio e in tale frangente di partita, lo storico di Miami diceva 67 partite vinte su 67. Che si aggiunge a quel famoso 151 su 151. Per Boston, dall’altra parte, zero per zero fa zero. Eppure, anche in cabina di commento, nessuno avrebbe immaginato che i Celtics candidati all’anello si squagliassero come neve al sole, finendo per perdere 84 a 103.

Al primo turno di questi playoff, anche Milwaukee, l’altra grande favorita a est, veniva eliminata da Miami. E allora fecero il giro del mondo le suggestive parole di Antetokounmpo: “Non c’è fallimento nello sport”. Quelle pronunciate anni addietro da Pat Riley, la regia occulta di questi Heat, sono molto più brutali. “Nel basket ci sono due cose: la vittoria e la miseria”. Oggi Riley, mettendo insieme la sua veneranda carriera di giocatore, allenatore e presidente, taglia il traguardo della 19esima finale Nba. Un quarto di tutte quelle mai disputate. Anche questo è un record difficilmente replicabile.

Di più su questi argomenti: